Stefano Anastasia, garante dei diritti dei detenuti della Regione Lazio al secondo mandato e fondatore dell’Associazione Antigone, nata alla fine degli anni ottanta, per ‘I diritti e le garanzie nel sistema penale’. Il sovraffollamento nelle carceri italiane ha raggiunto livelli allarmanti con incremento di suicidi e tentativi di suicidio rispetto al passato. Nel Lazio, penso al caso di Regina Coeli con un tasso del 180% superiore al numero di detenuti che potrebbe ospitare. Quale l’origine di una simile emergenza?
“A dire il vero, quando si parla di sovraffollamento in carcere, non si può più definirla un’emergenza: il nostro sistema penitenziario è in sovraffollamento strutturale dall’inizio degli anni ‘90 del secolo scorso. Né la costruzione di nuove carceri (da allora è aumentata di 15mila posti la capacità del sistema penitenziario), né le alternative alla detenzione (moltiplicatesi per venti volte) sono riuscite a contenere questo fenomeno: più se ne fanno, di carceri e di alternative, più aumenta la popolazione in carcere e fuori. D’altro canto, tra le cause del sovraffollamento possiamo escludere l’aumento dei gravi reati contro la persona o contro la sicurezza pubblica, che non ha traccia nelle statistiche ufficiali. Il sovraffollamento, dunque, è in senso proprio un abuso di incarcerazioni che non risponde a reali esigenze di sicurezza e che non riesce a essere fronteggiato dalla pur enorme crescita delle alternative alla detenzione. Se ne dovessi individuare due cause, le indicherei nella fragilità di un sistema politico-istituzionale privo di effettiva rappresentatività e dunque votato a politiche populiste, particolarmente propense a un uso simbolico della giustizia penale, e nella progressiva desertificazione dei servizi di sostegno e integrazione della marginalità sociale, inevitabilmente destinata a finire in carcere in assenza di qualsiasi altra politica degna di nota”.
Con l’approvazione del Ddl Sicurezza il rischio è che in carcere finiscano anche coloro che occupano una strada o una ferrovia in segno di protesta. La cosiddetta norma “anti-Gandhi”. Cosa ne pensa?
“La repressione penale di forme di protesta nonviolente è un precedente gravissimo per il nostro diritto penale, che torna così a essere uno strumento dell’autorità contro i cittadini. La libertà di riunione e di manifestazione è tutelata dalla Costituzione e soggetta solo a ‘preavviso alle autorità, che possono vietarle soltanto per comprovati motivi di sicurezza o di incolumità pubblica’. Da qui alla repressione penale di una manifestazione nonviolenta, seppure non autorizzata, ce ne corre”.
Da Gandhi passiamo alla Salis, inevitabile un pensiero all’eurodeputata eletta nelle file di Avs e bersaglio polemico delle destre, con l’ok al nuovo reato di ‘occupazione arbitraria di un immobile destinato a domicilio’. La giusta risposta al problema delle occupazioni abusive?
“Il problema delle occupazioni abusive è il riflesso dell’assenza di una politica abitativa degna di questo nome. Lasciamo perdere il caso degli attivisti politici che organizzano e talvolta partecipano alle occupazioni: dobbiamo guardare la luna, non il dito che la indica, e la luna è l’assenza di politiche abitative che rispondano alle esigenze di ampie fasce della popolazione, in modo particolare nelle grandi aree urbane. Quando parlo di desertificazione dei servizi sociali che producono incarcerazione penso anche a questo: e a questo enorme problema veramente il Governo pensa di rispondere minacciando carcere e pene a persone in stato di bisogno? Se si vuole avere un esempio dell’uso populista del diritto penale, eccolo qua”.
Insomma, pare che con l’introduzione di tutti questi nuovi reati le carceri siano destinate a riempirsi ulteriormente anche a causa del tanto discusso articolo 15 che rende facoltativo il rinvio della pena per le donne in gravidanza e le madri con figli sotto l’anno. Non si rischia di far pagare ai minori le responsabilità genitoriali arrecando loro un danno?
“Il rinvio obbligatorio dell’esecuzione della pena per le donne incinte o con figli minori di un anno è un’eredità del codice penale voluto e approvato dal regime fascista. Anche allora quello che poi sarebbe stato chiamato il supremo interesse del minore veniva prima dell’esecuzione di una pena che può essere differita nel tempo. D’altro canto, per i casi tanto sbandierati dalla propaganda leghista contro le donne rom, già oggi la legge consente la custodia cautelare in carcere in attesa del processo, se vi è pericolo di reiterazione del reato: altrimenti perché avremmo ancora la vergogna di donne incinte e addirittura di parti in carcere? Dunque: nulla che giustifichi nulla, solo un uso populista (e, nel caso di specie, neanche tanto velatamente razzista) del diritto penale”.
In riferimento proprio ai minori, per effetto del decreto Caivano sono aumentati gli ingressi negli istituti penitenziari a loro destinati. La detenzione è la giusta risposta alla criminalità giovanile?
“L’etichettamento dei minori devianti come criminali pericolosi da custodire in carcere approfondisce la frattura tra ragazzi in difficoltà, le istituzioni e le comunità di riferimento. Per questo, saggiamente, il nostro ordinamento aveva scelto la strada della decarcerizzazione e del sostegno educativo, al più in comunità dedicate. Con il decreto Caivano il Governo ha imposto un’altra narrazione, in cui i minori devianti sono giovani criminali da rieducare con la punizione: i risultati sono sotto gli occhi di tutti, nelle proteste e nella contrapposizione alle istituzioni che vediamo tutti i giorni manifestarsi nelle carceri minorili, da cui potranno venire solo più strutturate carriere criminali e non certo percorsi di rieducazione e reinserimento sociale”.
Se le condizioni di vita dei detenuti in Italia incrementano il rischio suicidario tra questi, anche gli agenti penitenziari che lavorano in quegli stessi ambienti non se la passano bene. Di qualche giorno fa le proteste di questi davanti al carcere di Poggioreale uniti dalla richiesta ‘il governo mantenga le promesse’. Cosa occorrerebbe fare per dar loro una risposta immediata?
“Il governo pensa di dare soddisfazione al personale penitenziario, legittimamente frustrato dalle proprie condizioni di lavoro in carenza di organico e in ambienti fatiscenti e sovraffollati, bastonando i detenuti, come propone con l’introduzione del nuovo reato di ‘rivolta in carcere’, che sarà attribuibile anche a tre detenuti che si rifiutino pacificamente di rientrare in cella perché vogliono rappresentare al direttore, al magistrato di sorveglianza o al garante qualcosa che non funziona in cella o nella loro sezione. In questo modo, però, non si fa altro che esacerbare gli animi e rendere più difficile il lavoro del personale penitenziario e, in particolare, degli agenti che lavorano in sezione, a diretto contatto con i detenuti. Servirebbe, invece, lavorare per rendere possibile l’azione rieducativa delle istituzioni penitenziarie, a partire dall’adeguamento delle risorse umane ai bisogni della popolazione detenuta. Quindi, certamente va riempito l’organico della polizia penitenziaria, come si è fatto con gli educatori e come si sta facendo con i dirigenti, ma poi vanno ridotte le presenze in carcere a quei detenuti la cui gravità della pena consente e necessita l’opera rieducativa di cui la polizia penitenziaria è gran parte, restituendo al territorio quella marginalità sociale che invece ha bisogno di servizi di sostegno per una vita autonoma e indipendente nella legalità”.