Crepe sui muri, soffitti scoperti, calcinacci, muffa, archivi in abbandono. La giustizia casca a pezzi. E non è solo un modo di dire. A mostrarlo, senza filtri, è l’Associazione nazionale magistrati (Anm) con un dossier fotografico che certifica le condizioni di degrado in cui versa l’edilizia giudiziaria. In tutta Italia, dal Piemonte alla Sicilia, i Tribunali sono in condizioni disperate.
Un dossier fotografico dell’Anm certifica le condizioni di degrado in cui versa in tutta Italia l’edilizia giudiziaria
Così, oltre a fare i conti con i problemi di organico che pregiudicano il corretto funzionamento della macchina, gli operatori sono spesso costretti a lavorare in Tribunali che versano in situazioni catastrofiche. Da Alessandria a Roma, passando per Ancona, Chieti, Bari e Catania.
Da nord a sud per tutto il Paese l’elenco delle criticità è sconfinato: interruttori scoperti, cavi lacerati, immondizia accumulata, faldoni di fascicoli accatastati tra la muffa. Insomma una situazione non proprio da fiore all’occhiello. Il quadro aggiornato della situazione sul territorio italiano viene fuori dopo un attento monitoraggio in cui i magistrati hanno documentato fotograficamente lo stato in cui versano gli uffici in cui quotidianamente prestano servizio e dove, ogni giorno, migliaia di cittadini fanno ingresso.
Grazie al contributo delle Giunte Esecutive Sezionali è stato così realizzato un dossier composto da circa 500 foto relative a più di 50 Tribunali e Procure della Repubblica. Viene fuori così un’istantanea di un Paese dove i palazzi di giustizia presentano strutture decadenti, inadeguate e inospitali. In alcuni casi persino insalubri: insomma, luoghi di lavoro non dignitosi per quanti vi prestano servizio o anche solo li frequentano come utenti.
Come se non bastasse i numeri raccolti dall’Anm parlano chiaro: “gli interventi di manutenzione effettuati in epoca recente hanno interessato il 62,3 per cento dei palazzi di giustizia, ma nel 45,85 per cento dei casi si è trattato di interventi solo parziali”.
Inoltre “se elevato appare lo standard di sicurezza degli uffici giudiziari con riferimento ai controlli in ingresso (il 99,56 per cento dei varchi di accesso sono vigilati, quasi sempre anche mediante apparecchiature elettroniche di controllo), decisamente più basso è il livello di sicurezza interna dei tribunali, che nel 50,59 per cento dei casi sono privi di personale addetto all’ordine pubblico che vigila nei corridoi e presso le aule di udienza”.
L’Anm ritiene “allarmante” il dato che riguarda la formazione in materia di sicurezza sul lavoro: “l’80,44 per cento dei magistrati non ha mai partecipato ad un incontro di formazione e il 72,96 per cento di loro, negli ultimi 12 mesi, non ha ricevuto istruzioni circa la gestione di eventi o situazioni di emergenza, né ha svolto simulazioni per tali ipotesi, mentre il 29,63 per cento non sa dove si trovano le uscite d’emergenza”.
Con riguardo alle postazioni di lavoro dei magistrati i dati più significativi dicono che il 20,73 per cento dei magistrati non dispone di una stanza ad uso esclusivo; il 57,11 per cento dei magistrati non dispone invece di una seduta ergonomica e regolabile e il 52,27 per cento non è mai stato sottoposto a visita oculistica periodica, pur utilizzando per lavoro attrezzature munite di videoterminali per più di 40 ore settimanali.
Ma l’analisi dell’Anm continua: “il 20,65 per cento dei magistrati considera la dotazione del suo ufficio scarsa e il 67,70 per cento utilizza strumenti di lavoro di sua proprietà, mentre il 50,68 per cento dei magistrati, in alcuni casi, ha dovuto provvedere personalmente alla pulizia della sua stanza”.
Si evidenzia nell’approfondimento, poi, che “il 21,16 per cento dei giudici tiene udienza nella sua stanza d’ufficio e non in un aula dedicata e nel 25 per cento dei casi le dimensioni della stanza non consentono di mantenere la distanza interpersonale di almeno un metro tra le persone presenti, per di più senza poter contare, nell’82,55 per cento dei casi, sulla collaborazione di personale addetto alla chiamata dei testimoni e che li indirizza nei loro spostamenti”. Per non parlare, poi, della formazione.
Ben il 59,69 per cento dei magistrati ritiene di “non aver ricevuto una adeguata formazione sui programmi e le procedure informatiche necessarie” per il suo lavoro e il 37,37 per cento dei magistrati non può fare costante “affidamento su personale ausiliario, dovendo provvedere personalmente alla fotocopiatura di atti; il 68,57 per cento dei magistrati dichiara una durata media della giornata di lavoro superiore alle 8 ore e il 57,53 per cento di loro dichiara di lavorare sistematicamente anche nelle giornate di sabato e domenica”.
L’Associazione delle toghe rimarca che l’efficienza “non può essere riduttivamente intesa come un mero abbattimento dei numeri” ma che implica soprattutto “qualità del servizio”, “che richiede il giusto tempo di ascolto, studio riflessione, anche per garantire prevedibilità delle decisioni, in un contesto di maggiore tutela per i cittadini”.
L’Associazione dei magistrati torna quindi a chiedere di “assicurare adeguate risorse, umane e materiali, per rendere veramente sostenibile il carico di lavoro sempre più pressante affidato ai singoli magistrati”, per non pregiudicare “la qualità della risposta giudiziaria”.