Tre ricorsi identici. Presentati in tre tribunali diversi. A Firenze, dove il giudice civile si pronuncerà il prossimo 17 gennaio, a L’Aquila (l’udienza è fissata per il 31) e a Roma. Con uno scopo comune: ottenere una pronuncia della Corte Costituzionale sul discusso Rosatellum bis, la legge elettorale che porta il nome del capogruppo alla Camera del Pd, Ettore Rosato, prima delle Politiche del 4 marzo. Aprendo, se l’obiettivo fosse centrato, scenari imprevedibili a ridosso della data del voto.
Sub judice – Ma non è tutto. I ricorsi, presentati dall’avvocato Paolo Colasante, su iniziativa dei deputati di Alternativa Libera, Massimo Artini (a Firenze), Eleonora Bechis (a Roma) e Stefano Moretti (a L’Aquila) “a tutela del proprio diritto di voto”, rappresentano un inedito. E’ la prima volta, infatti, che la materia elettorale viene impugnata attraverso la procedura d’urgenza prevista dall’articolo 700 del Codice di procedura civile. Una scelta tutt’altro che casuale. L’obiettivo è quello di “accelerare” l’iter e “ottenere che la Consulta sia investita della questione, prima della celebrazione” delle prossime elezioni, spiega Enzo Di Salvatore (leggi intervista nella pagina a fianco), associato di diritto costituzionale all’Università di Teramo e consulente dei deputati di Alternativa libera per la redazione del ricorso. Trentanove pagine in tutto nelle quali si analizza l’intero impianto del Rosatellum bis, evidenziandone le criticità e argomentando i possibili profili di incostituzionalità, per chiedere in sostanza al giudice ordinario, qualora il ricorso fosse ritenuto fondato, di rimettere la legge elettorale al giudizio di legittimità della Consulta. Attraverso “una sorta di controllo ‘preventivo’ di costituzionalità delle disposizioni” in essa contenute prima della loro applicazione pratica. Per evitare il rischio, come peraltro già accaduto nel caso del Porcellum, che un eventuale declaratoria di incostituzionalità arrivi troppo tardi. Quando, cioè, il prossimo Parlamento si sarà già insediato.
Di qui la scelta di intraprendere la strada della procedura d’urgenza. Per evitare, si legge nel ricorso, che “una decisione postuma”, cioè successiva alle elezioni del 4 marzo, finisca per lasciare “intatta la composizione di un Parlamento eletto sulla base di una (potenziale, ndr) normativa costituzionalmente illegittima”. Ma su cosa vertono i rilievi delineati nel ricorso e portati all’attenzione del giudice civile?
Non varcare quella soglia – Secondo i deputati di Alternativa libera, la legge elettorale attualmente in vigore violerebbe, innanzitutto, il diritto di voto sancito dall’articolo 48 della Costituzione. Ma anche il principio di uguaglianza tutelato dall’articolo 3, contravvenendo, inoltre, alle modalità di elezione del Senato che, in base all’articolo 57, devono essere regolate su base regionale. Più nel dettaglio, a finire nel mirino sono, tanto per cominciare, le soglie di sbarramento previste dal Rosatellum bis. A cominciare da quella del 3% per le singole liste su base nazionale. Infatti, mentre “i voti ottenuti dalle liste che abbiano conseguito meno dell’1% sono dispersi”, ricordano Colasante e Di Salvatore nel ricorso, “i voti ottenuti dalle liste che abbiano conseguito fra l’1% e il 3% (che non accedono al riparto dei seggi) sono utili ai fini del calcolo della cifra elettorale della coalizione”, andando “a beneficio delle forze politiche” che in seno alla stessa coalizione “abbiano conseguito più del 3%”. In pratica l’elettore vota un partito ma il suo voto può finire ad una lista diversa: una “violazione palese del principio del voto diretto”.
Secondo i ricorrenti, quindi, entrambe le soglie, sia quella del 3% sia quella dell’1%, “sono in palese violazione del principio di ragionevolezza e del principio di eguaglianza del voto. Ma non è tutto. Un’ulteriore criticità riguarda l’applicazione delle medesime soglie di sbarramento per entrambe le Camere. “Ciò costituisce un’evidente irragionevolezza oltre che una violazione del principio dell’eguaglianza del voto… se si considera che la Camera dei deputati conta 630 membri e il Senato 315 – prosegue il ricorso -. E’ pertanto evidente che la previsione della medesima soglia comporta un sacrificio della rappresentatività doppia nel caso della Camera dei deputati, visto che ha il doppio dei membri”. Senza contare, inoltre, che “l’applicazione per il Senato di uno sbarramento determinato a livello nazionale costituisce un elemento inedito nella sua storia”, tanto da essere indicato come ulteriore motivo di ricorso, “in ragione della dubbia compatibilità con la previsione costituzionale di un Senato eletto a base regionale (articolo 57)”.
Paracadutati alla carica – E non finisce qui. Il Rosatellum bis consente al candidato in un collegio uninominale di candidarsi anche in un massimo di 5 collegi plurinominali. Una previsione che, secondo i ricorrenti, “svilisce la competizione”, determinando “una mobilità delle liste di candidati del collegio plurinominale e, perciò, una loro non conoscibilità”. Insomma, una disposizione “paradossale e irragionevole”, in forza della quale “un candidato sconfitto nel collegio uninominale”, e quindi bocciato dagli elettori, “uscito dalla porta, rientra dalla finestra” del proporzionale. Ma c’è anche un altro paradosso: se il candidato è eletto in più collegi plurinominali, “è proclamato eletto nel collegio” nel quale la lista ha incassato meno voti. Un’ulteriore violazione “del principio del voto diretto”.