Sedici anni di missioni militari ininterrotte a cui l’Italia ha sempre partecipato, spendendo quasi tre miliardi di euro e inviando migliaia e migliaia di soldati, esattamente come i quattro italiani vittime di un attentato terroristico. Questo è, in estrema sintesi, il quadro relativo alla nostra partecipazione militare alle tante missioni che si sono succedute in Iraq, senza che si sia giunti a una soluzione dato che il Paese rimane in una condizione profondamente precaria. E, proprio a riguardo, spicca un dato eloquente: a fronte di una spesa notevole in campo militare, nello stesso periodo i fondi per la cooperazione sono stati sette volte inferiori.
A rivelarlo è un dettagliato report realizzato pochi mesi fa da Milex, l’Osservatorio sulle spese militari presieduto da Francesco Vignarca. E, non a caso, nel report si legge che questo rapporto di uno a sette è “emblematico della scelta politica nettamente militarista” fatta dai tanti Governi italiani che si sono succeduti, “tutti desiderosi, in passato come oggi, di mostrarsi tra i più volenterosi delle varie coalizioni militari a guida statunitense intervenute in Mesopotamia”. Non è un caso, d’altronde, che già nel ’91 nella prima Guerra del Golfo l’Italia appoggiò l’intervento militare nell’area mesopotamica. “Il Medio oriente è l’area strategicamente più importante al mondo”, amava non a caso dire Dwight Eisenhower. Il resto è storia, con il dittatore Saddam Hussein prima appoggiato e spinto dagli Stati Uniti e poi, negli anni Duemila, fatto capitolare con l’alibi di armi nucleari mai effettivamente trovate.
TUTTI RESPONSABILI. Da allora, però, comincia un nuovo capitolo, aperto e mai concluso. Siamo nel 2003, anno in cui parte la missione “Antica Babilonia” che durerà 4 anni e costerà all’Italia circa 1,5 milioni di euro. Ma non è finita. Già nel 2004 parte la “Nato Training”, sponsorizzata proprio dall’Alleanza Atlantica, che si protrae fino al 2011 e costerà alla sola Italia circa 50 milioni di euro. Dopo due anni di breve interruzione, nel 2014 si dà avvio alla missione “Prima Parthica” e qui la partecipazione italiana è ancora più massiccia: fino al 2017 ci è costata oltre 754 milioni di euro. Ma non è tutto.
Milex, infatti, ha stimato anche i costi aggiuntivi e indiretti come l’acquisizione di nuovi mezzi da combattimento e nuovi armamenti, o l’aggiornamento di sistemi d’arma esistenti in relazioni alle esigenze emerse nel corso dell’impiego in Iraq. Ed ecco che al conto si aggiungono altri 315 milioni che, dal 2003 al 2017, fanno lievitare la spesa a circa 2,6 miliardi di euro. A fronte di 360 milioni per iniziative di cooperazione e assistenza civile. Una netta differenza di cui, in questi anni, tutti i Governi succedutisi sono responsabili: dall’esecutivo di Silvio Berlusconi che ha autorizzato “Antica Babilonia”, fino a quello di Matteo Renzi per quanto riguarda “Prima Parthica”.
IL PRESENTE. Ma non è finita qui. Perché oggi sono in piedi ben due missioni in Iraq, per una spesa che nel 2019 si aggira intorno a 1,7 milioni di euro (e 1.100 soldati coinvolti). La più corposa è una missione anti-Daesh. E l’attentato dei giorni scorsi spiega in pieno la ragione di quest’intervento. Ma è anche vero, come precisa Milex, che tale missione nasce anche – ahinoi – “dalla necessità di risolvere un problema creato dai gravi errori commessi” nel passato, in particolare dalla “sciagurata decisione di smantellare completamente le forze armate irachene, in buona parte riversatesi nella resistenza sunnita prima e successivamente nelle milizie del Califfato nero”, la cui ossatura non a caso è formata da ex soldati di Saddam.