di Mimmo Mastrangelo
Uno schermo strappato. Nell’immaginazione di un cinéphile la ferita del cinema ha le sembianze di quel famoso fotogramma di Luis Bunuel ne “Un chien andalou” (1928), in cui la lama di un rasoio taglia di netto a metà l’occhio di una donna. Un’immagine che, simbolicamente, la si può prendere in prestito, per cogliere lo stato di sofferenza in cui versa la settima arte nel nostro Paese. Attualmente da noi il malessere della cinematografica ha diversi volti, in particolare si identifica con lo stato d’affanno del cinema di qualità. Nei giorni scorsi si è del resto molto parlato del fatto che la Sacher Distribuzione di Nanni Moretti non porterà più film d’autore in sala. Una rinuncia che conferma come il pubblico che va a vedere certi film è sempre di meno.
Spettatori ineducati
Abbiamo spettatori demotivati, senza gusto e condizionati nella scelta dai palinsesti di una televisione sbracata e da fiction sdolcinate, per cui diventa difficile portare avanti un discorso sulla qualità e sul cinema che vuol far pensare. Inoltre, non si può non considerare che la Sacher Distribuzione cessa la sua attività nel momento in cui la critica ha incoraggiato ed accolto con forti consensi alcune scelte temerarie di Nanni Moretti. Nell’ultimo anno, infatti, ha distribuito film eccellenti: si pensi a “Cesare deve morire” con cui i fratelli Taviani hanno vinto lo scorso anno l’Orso D’Oro a Berlino, oppure ad “Ernest & Celestine”, bellissimo film d’animazione scritto da Daniel Pennac e diretto dal trio Benjamin Renner, Vincent Pater e Stéphane Aubier o ancora a “Muffa”, opera prima firmata dal regista turco Ali Aydin.
Se la Sacher e altre case di distribuzione alzano il vessillo della resa è perché anche la crisi generale di questi ultimi anni sta facendo la sua parte.
Un genere in crisi
Ma la crisi non è certamente la principale causa se poi gli spettatori non vogliono vedere certi film, se decidono essere un pubblico totalmente passivo e non pensante. Checché se ne dica anche la stessa Festa del Cinema, promossa per una settimana lo scorso maggio con l’ingresso agevolato in sala a tre euro, è stata un’occasione perduta. E’ vero che gli incassi sono stati alti, ma il cinema d’autore anche questa volta è rimasto fuori circuito. Oscurato perché non appassiona il pubblico e in quanto gli esercenti non vogliono scommetterci su. E allora cosa fare per riportare le visioni d’impegno nelle sale, qual è la strada da imboccare? Non ci sono particolari vie d’uscita se non iniziare a lavorare nelle scuole con i ragazzi, educare i loro sguardi, far conoscere loro la cinematografia del passato e quella d’autore che si produce oggi nel mondo. C’è una bella ammucchiata di cinematografari che pensa che il cinema si promuova attivando scuole sull’audiovisivo. Saranno anche importanti, nessuno vuole negarlo, ma il cinema ha bisogno, innanzitutto, di uno spettatore con un riformato sguardo, capace di inseguire produzioni che sappiano lasciare il segno, suscitare sensibilità, ispirazione e – perché no – anche un pensiero politico. E’ un cammino, questo, certamente complicato, ma è la strada obbligata da percorrere, e a indicarla dovrebbero essere anche le istituzioni e pure le numerose Film Commission nate da ormai parecchio tempo sul territorio nazionale.