Le vie della politica sono infinite. Ma a tutto c’è un limite. Forse hanno ragione i renziani a sostenere che tra Movimento Cinque Stelle e Pd le distanze restano siderali. E di certo il neosegretario Nicola Zingaretti, che come primo atto del nuovo corso del Partito democratico ha scelto di fare visita ai cantieri del Tav, la grande opera più odiata dal popolo grillino, non ha fatto nulla per dimostrare il contrario. Anzi. Con la maggioranza dei gruppi parlamentari ancora fedele al suo predecessore, il mito del Partito democratico derenzizzato, condicio sine qua non anche solo per ipotizzare un dialogo tra M5S e dem, resta un miraggio. E se poi si entra nel merito dei temi di teorica compatibilità politica, dal salario minimo al taglio dei costi della politica, Pd e Movimento sono lontani anni luce.
Salario minimo. Così tanto che non c’è.
A cominciare proprio dal salario minimo. I Cinque Stelle hanno presentato al Senato un disegno di legge per fissare a 9 euro lordi la paga oraria. I dem erano partiti dai 9 euro netti proposti dal ddl Laus, prima che un altro ddl del renziano Nannicini cambiasse le carte in tavola: nessuna soglia minima, la cui definizione è demandata a una “commissione paritetica per la rappresentanza e la contrattazione collettiva” istituita presso il Consiglio Nazionale dell’Economia e del Lavoro (Cnel), che la riforma costituzionale Renzi-Boschi (bocciata dal referendum nel 2016) voleva abolire.
Costi della politica. Due mondi agli antipodi.
Ma non è tutto. M5S e Pd sono agli antipodi anche sul fronte dei tagli ai costi della politica. Quanche esempio? I dem hanno votato contro la riforma costituzionale che taglia da 630 a 400 i deputati e da 315 a 200 i senatori che farebbe risparmiare alle casse dello Stato 82 milioni l’anno, circa 410 milioni a legislatura. E non finisce qui. Che dire dei ddl presentati dal tesoriere del Pd, Zanda? Il primo, poi ritirato, prevedeva di equiparare il trattamento economico dei parlamentari italiani a quello dei deputati europei: sarebbe diminuita da poco più degli attuali 10mila euro a 8.757 euro lordi al mese l’indennità parlamentare (lo stipendio in senso stretto), l’unica voce in busta paga soggetta a tassazione, ma sarebbero aumentate quelle relative ai rimborsi, tutte esentasse. Il secondo, che ad oggi non risulta ancora essere stato ritirato, reintroduce il finanziamento pubblico ai partiti che lo stesso Partito democratico, per mano dell’allora premier Enrico Letta, aveva abolito all’inizio della precedente legislatura. Il disegno di legge contestato dai Cinque Stelle istituisce un fondo da 90 milioni di euro in cinque anni: 9 milioni da suddividere “in parti uguali” per tutti; il restante 90% (81 milioni) “in ragione della rispettiva quota di rappresentanti eletti”.
Questione morale. Una pietra tombale.
Ma la pietra tombale su una possibile convergenza tra Movimento Cinque Stelle e Partito democratico la mette la questione morale. L’ultima tragicommedia delle dimissioni della governatrice dell’Umbria, Marini (vedi pezzo qui a fianco), prima presentate, poi respinte con il suo stesso voto contrario e, infine, ripresentate, sono il segno delle distanze tra grillini e Pd sul tema della legalità. Una vicenda che ha fatto infuriare lo stesso Zingaretti e creato più di qualche imbarazzo tra i vertici del Nazareno. “Noi De Vito (il presidente del Consiglio comunale di Roma arrestato per corruzione, ndr) lo abbiamo cacciato in mezz’ora”, è il mantra che i grillini ripetono incessantemente per segnare le distanze con i partiti. Ma questione morale a parte, non possono non balzare agli occhi le divergenti posizioni assunte da M5S e Pd anche sul modo di intendere le riforme penali e la lotta alla criminalità. Su due dei provvedimenti bandiera targati Movimento Cinque Stelle, il ddl anticorruzione, con dentro il daspo ai corrotti dalla pubblica amministrazione, e il giro di vite sul voto di scambio politico-mafioso, il Partito democratico ha votato contro.