È proprio il caso di dirlo, certe parole fanno male più di altre. E quelle scritte ieri dall’ex procuratore antimafia e oggi eurodeputato del Pd, Franco Roberti, equivalgono ad un sonoro ceffone al suo stesso partito. Ma sono anche e soprattutto una netta condanna alle decisioni in materia di Giustizia prese da parte dell’ex governo di Matteo Renzi. Un attacco a tutto tondo, oltretutto assolutamente inaspettato, che l’uomo ha affidato ad un lungo post su Facebook. Correva l’anno 2014 quando, racconta il dem: “il Governo Renzi, all’apice del suo effimero potere, con decreto legge, abbassò improvvisamente, e senza alcuna apparente necessità e urgenza, l’età pensionabile dei magistrati da 75 a 70 anni”.
PESANTE J’ACCUSE. Una mossa definitiva “sciagurata” e che sarebbe, almeno in parte, alla base dei recenti scandali che vedono scontrarsi, a suon di esposti e dossier, come nel caso del pm Luca Palamara, le diverse correnti politiche della magistratura. Già perché, a suo dire, l’intento dell’Esecutivo targato Pd doveva servire a “liberare in anticipo una serie di posti direttivi per fare spazio a cinquantenni rampanti, inseriti in ruoli di fiducia di ministri, alla faccia della indipendenza dei magistrati dalla politica” e, allo stesso tempo, “tentare di influenzare le nuove nomine” in favore di magistrati ritenuti più sensibili ai diktat della politica.
Un piano sostanzialmente riuscito perché i pensionamenti avevano liberato “oltre mille posti direttivi” che avevano scatenato una corsa selvaggia da parte delle diverse correnti di cui “il caso Palamara ne è la prova tangibile sebbene, temo, sia soltanto la punta dell’iceberg”. Tutti motivi per i quali Roberti, a conclusione del suo post, chiede senza mezzi termini al proprio partito “finora silente, di prendere una posizione di netta e inequivocabile condanna dei propri esponenti coinvolti”.
LOTTE INTESTINE. Ma quella di ieri è stata la giornata del tutti contro tutti. Del resto la bufera Palamara che ha travolto il Consiglio superiore della magistratura e incrinato irrimediabilmente il rapporto tra toghe e cittadini, non poteva che alimentare polemiche. Proprio per limitarle, il Csm, da cui si sono già sospesi 4 consiglieri, in mattinata aveva annunciato che i propri membri si sono impegnati a non presentare domande per incarichi direttivi negli uffici giudiziari alla conclusione del mandato. Una mossa giudicata insufficiente e che otteneva il risultato opposto scontentando tutti.
A partire dall’Anm secondo cui il problema resta quello delle autosospensioni presentate dai consiglieri che hanno preso parte agli incontri con Palamara, Cosimo Ferri e Luca Lotti, per la nomina dell’erede di Giuseppe Pignatone. A questi, incluso il deputato Ferri che non ha mai abbandonato la toga, è stato chiesto un passo indietro, presentando le dimissioni. Ma c’è di più perché tutti loro, come deciso dall’Anm, sono stati deferiti ai probiviri che ne decideranno le sorti.