L’ultimo richiamo è arrivato due giorni fa da Bruxelles: l’Italia deve “introdurre i reati di tortura e trattamente degradanti”. Un monito che ormai sentiamo da troppi anni. Trenta per la precisione, dato che la Convenzione delle Nazioni unite a riguardo risale al 1984 ed è stata ratificata dal nostro Paese quattro anni dopo, nel 1988. Da allora, però, è rimasto tutto fermo. Nonostante i tanti casi di cronaca (dalla “macelleria messicana” alla Diaz al G8 di Genova fino ai troppi morti in carcere) e nonostante l’ex presidente del Consiglio Matteo Renzi, proprio dopo la condanna sull’irruzione alla scuola Diaz a Genova nel 2001, avesse assicurato che la legge sarebbe stata approvata in tempi rapidi. Leggere per credere. “La prima cosa da fare è introdurre subito il reato di tortura”, aveva detto l’ex sindaco di Firenze a nemmeno 24 ore dalla condanna della Corte europea dei diritti umani sul caso Cestaro del 7 aprile 2015. E invece nulla: siamo punto e a capo.
Le resistenze – Dopo essere stato licenziato di fretta e furia alla Camera, il testo si è arenato a Palazzo Madama, dove peraltro è stato snaturato. Inverosimile l’iter legislativo. Dopo essere stato approvato a Montecitorio, come detto, soltanto due giorni dopo la sentenza Ue di condanna, è rimasto in commissione Giustizia per oltre un anno. Fino ad arriva in Aula il 14 luglio 2016. Ma qui l’inaspettato: invece di avviare la discussione, il testo è stato congelato. E da allora non si sa più nulla, per la gioia delle destre, di Ncd e della Lega Nord, che non hanno fatto mai mistero di non condividere l’introduzione del reato di tortura. “È difficile immaginare una fetta di elettorato che non sia favorevole alla legge – ci dice Alessio Scandurra, di Antigone – ma è evidente che ci siano delle forze di cui alcuni partiti politici si fanno megafono. Non è una novità che c’è una resistenza organizzata delle forze di polizia che non hanno mai fatto mistero di non gradire l’introduzione del reato”. Non a caso, ci racconta ancora Scandurra, l’iter legislativo si è bloccato proprio dopo un’audizione “a porte chiuse” dei tre capi della Polizia. “Peccato non sia mai stata verbalizzata, stranamente”. E, forse, nemmeno tanto. “È la prova che la politica è debole – conclude Scandurra – e quando le lobby premono, i partiti cedono sempre”.
Multa a un passo – Ma ora la vicenda potrebbe avere importanti sviluppi. Era il 2004 quando nel carcere di Asti due detenuti vennero denudati, condotti in celle di isolamento, senza materassi, lenzuola, coperte, lavandino, sedie, sgabello. Venne loro razionato il cibo e impedito di dormire, insultati e sottoposti per giorni a percosse quotidiane con calci, pugni, schiaffi in tutto il corpo giungendo, nel caso di uno dei due, a schiacciargli la testa con i piedi. La vicenda è stata portata da Antigone davanti alla Corte europea dei diritti dell’uomo. “Il nostro Stato – ci dice ancora Scandurra – dopo che la Corte ha ritenuto il ricorso ammissibile, ha chiesto la conciliazione di modo da pagare solo un risarcimento ai due ricorrenti, senza andare a sentenza”. Un’ammissione di colpa, insomma. Peccato però che la stessa Corte europea abbia detto di no alla richiesta italiana, “perché in quel caso non si sarebbe risolta la questione a monte”. Ora, dunque, è inevitabile una sentenza. E sarà, giocoforza, di condanna per il nostro Paese, visto il vuoto normativo. Una condanna pecuniaria dopo 30 anni di silenzio e omertà. Che, peraltro, potrebbe arrivare a strettissimo giro: “Noi ce l’aspettavamo già prima dell’estate, quindi potrebbe davvero essere questione di settimane se non di giorni”, ci dicono ancora da Antigone. Non resta che attendere. Nella speranza che un giorno in Italia i responsabili di tante torture abbiano, finalmente, un nome e un cognome.
Tw: @CarmineGazzanni