Aspettando il vertice decisivo sul Tav della prossima settimana, il nodo della Torino-Lione continua a creare tensioni all’interno della maggioranza. L’exit strategy sarebbe quella di avviare i bandi per l’opera, inserendo una clausola sospensiva in modo da poter in ogni momento tornare indietro. Una soluzione tampone che permetterebbe di non perderebbero i 300 milioni dei fondi europei e di non penalizzare Telt – la società mista italo-francese responsabile della realizzazione dell’opera – che ha convocato il Cda per l’11 marzo. L’avvio dei bandi potrebbe in ogni caso lasciare mani libere all’Esecutivo, lavorando da un lato ad un accordo nella maggioranza e, dall’altro, tenendo aperto il confronto con la Francia e la Commissione europea.
Il premier, Giuseppe Conte, ha deciso di intestarsi in prima persona la partita anche se questa mattina Palazzo Chigi ha precisato che il presidente del Consiglio “non ha aperto a nessuna ipotesi di mini-Tav né ha mai richiesto un ulteriore contributo all’analisi costi-benefici dell’opera, contributo, che è stato invece sollecitato dal Mit”. “Le ricostruzioni apparse questa mattina su alcuni quotidiani – si legge nella nota diffusa da Palazzo Chigi – sono destituite di fondamento. Il presidente Conte non ha mai anticipato nessun giudizio, mentre ha sempre ribadito e ancora ribadisce che verrà presa, nella massima trasparenza, la migliore decisione possibile nell’interesse esclusivo del Paese e dei cittadini all’esito dello studio attento del dossier e del confronto politico che ne conseguirà”.
Il ministro delle infrastrutture Danilo Toninelli ribadisce “profondamente, come M5s, il no alla Tav senza alcun pregiudizio” . “Il Tav – ha aggiunto – può anche servire e sono felice se dopo il 2070 serve, ma io sono il ministro delle infrastrutture e mi sento responsabile se domani crolla un altro ponte e muore qualcuno, anche se giuridicamente non lo sono, perché avrei potuto impiegare le risorse del Tav per fare manutenzione a quella infrastruttura”.