Fine corsa elettorale alle comunali di Trapani per il senatore di Forza Italia Antonio D’Alì. A decretarla, di fatto, è stata la direzione distrettuale antimafia di Palermo che ha chiesto inaspettatamente il soggiorno obbligato per il senatore. Il provvedimento, in realtà, sarà discusso nel corso di un’udienza davanti al tribunale che si terrà a luglio, ma intanto gli effetti non potranno che essere immediati. Lo stesso D’Alì, d’altronde, ha già annunciato di dover “sospendere ogni mia personale attività di campagna elettorale” per tornare “amareggiato a Roma per onorare come di consueto il mandato parlamentare, poiché ritengo che, pure essendo stato assolto da ogni accusa anche in appello, non potrei condurre le opportune iniziative con questo carico di infamia scaricatomi addosso”.
Tempistica cruciale – Infamia, già. Un dubbio che D’Alì condivide con tanti, specie in Forza Italia. Non fosse altro per la tempistica: l’atto, infatti, è stato consegnato due giorni fa, casualmente qualche ora dopo la chiusura delle liste per le elezioni di Trapani, per le quali come detto il senatore è candidato sindaco. Una tempistica che, ovviamente, ha avuto strascichi nelle ore seguenti alla notizia, con chi ha parlato di intervento ad orologeria. A parlare, tra gli altri, anche il presidente dei deputati di Forza Italia, Renato Brunetta, che ha espresso “piena e sincera solidarietà dal gruppo di Forza Italia della Camera dei deputati al senatore”, per una decisione che “lascia attoniti, anche perché presentata poco dopo la formalizzazione della sua candidatura a sindaco di Trapani”. La Dda, peraltro, nella sua richiesta parla di “pericolosità sociale” del senatore, nonostante D’Alì, nel settembre scorso, fosse stato assolto in appello dall’accusa di concorso esterno in associazione mafiosa per la contestazione di fatti avvenuti dopo il 1994. Per gli anni precedenti, invece, i reati riconosciuti sono caduti in prescrizione. A riguardo, una serie di collaboratori di giustizia parlano della sua “piena disponibilità nei confronti dei massimi esponenti della mafia trapanese”. Una disponibilità che non è legata ad alcun patto siglato con i padrini, i quali, in ogni caso, gli hanno dato il loro “appoggio elettorale” ai tempi della prima candidatura al Senato. Eppure nelle motivazioni della sentenza depositate nel dicembre 2016, si legge che “l’accertata condotta illecita posta in essere dall’imputato non risulta seguita da alcuna condotta che possa essere significativamente assunta come sintomatica della volontà dell’imputato di permanere, sia pure come extraneus, nell’associazione mafiosa, fornendo un contributo al rafforzamento della stessa”.
Le prossime tappe – Ora sul caso D’Alì deve esprimersi la Cassazione, ma intanto poiché per la Procura reggono gli indizi, la Dda ha deciso di disporre l’obbligo di soggiorno, con tutte le conseguenze politiche del caso. Alle elezioni mancano poco più di venti giorni. E D’Alì non pare intenzionato a mollare.