di Stefano Sansonetti
Dopo il rifiuto dei patti di sindacato adesso spunta fuori anche l’opposizione nei confronti dell’euro. Succede pure questo in Mediobanca, potere forte al centro dei poteri forti, che ieri ha gettato uno sguardo molto interessato a quanto è accaduto a Roma. Nella capitale, dopo mesi di gestazione, è stato ufficialmente presentato il Manifesto di solidarietà europea. Si tratta di un documento molto duro, firmato da una dozzina di economisti europei secondo i quali l’euro ha prodotto una crisi economica e sociale dalla quale si può uscire solo in un modo: abbandonando la moneta unica. Tra i trascinatori del Manifesto c’è Hans-Olaf Henkel, ex presidente della Confindustria tedesca. Ma ci sono anche ex ministri e banchieri d’affari che devono aver incuriosito non poco piazzetta Cuccia. Al punto che direttamente da Londra sono arrivati a Roma alcuni top manager di Mediobanca come Daniele Bartoccioni e Andrea Carzana, a quanto pare inviati sul posto da Antonio Guglielmi, capo di Mediobanca Securities, che per il gruppo bancario si occupa di intermediazione finanziaria. Insomma, a molti è parso un altro gesto “rivoluzionario” dell’istituto, che attraverso l’amministratore delegato Alberto Nagel aveva già annunciato l’intenzione di lasciare “salotti” del potere come Rcs, Generali e Telecom. Adesso oggetto di studio sono anche le vie d’uscita dalla moneta unica.
La proposta
Ma cosa dice esattamente il Manifesto di solidarietà europea? Il presupposto è che “l’Eurozona, nella sua forma attuale, è diventata una seria minaccia al progetto di integrazione europea”. Progetto che, si affrettano a spiegare gli economisti, rappresenta un nobile obiettivo che non può però essere perseguito con l’attuale divisa unica. Per questo, sostiene il Manifesto, “la strategia che offre le migliori possibilità di salvare l’Unione europea sia una segmentazione controllata dell’Eurozona attraverso l’uscita, decisa di comune accordo, dei paesi più competitivi”. L’euro, prosegue il documento, “potrebbe rimanere per qualche tempo la moneta comune di paesi meno competitivi. Ciò potrebbe comportare in definitiva il ritorno alle valute nazionali, o a differenti valute adottate da gruppi di paesi omogenei”. In questo modo “un’euro più debole migliorerebbe la competitività dei paesi dell’Europa meridionali e li aiuterebbe a uscire dalla recessione e tornare alla crescita”. Certo, il fatto che gli euro-critici di Germania (AfD) abbiano due giorni fa sfiorato l’ingresso in parlamento sembra rinsaldare lo strapotere rigorista di Angela Merkel. Ma secondo gli economisti del Manifesto i fallimenti che abbiamo sotto gli occhi impongono una riflessione sulle alternative.
I firmatari
Del resto ieri, nella sede della Link University dell’ex ministro Vincenzo Scotti, faceva una certa impressione sentire Henkel, ex numero uno degli industriali tedeschi, dire che “uno dei più grandi errori della mia vita è stato sostenere l’ingresso dell’Italia nell’euro”. Il fatto è, ha svelato, “che in Germania eravamo stufi delle svalutazioni della lira che rendevano il vostro paese più competitivo”. Oggi siamo arrivati al punto in cui “l’euro è una moneta troppo forte per l’industria italiana e troppo debole per quella tedesca”. Ergo, “la moneta unica deve essere abbandonata perché è un disastro economico e perché una moneta deve riflettere la cultura economica e fiscale di un singolo paese”. Tra i firmatari del Manifesto ci sono anche Alberto Bagnai, docente all’università di Pescara, e Claudio Borghi Aquilini, che insegna economia degli intermediari finanziari alla Cattolica di Milano. Ieri è entrato a far parte del gruppo Antonio Rinaldi, altro economista dell’ateneo di Pescara. Ma ci sono anche Jens Nordvig, managing director di Nomura, Stefan Kawalec, ex consigliere economico del ministero delle finanze polacco, e Brigitte Granville, docente all’università Queen Mary di Londra. Tutti presenti a Roma.
Il futuro della moneta. La Merkel in coalizione non cambierà nulla
Una grande coalizione con i socialdemocratici della Spd, senza trascurare la possibilità di accordarsi con i Verdi. Ma una presenza al governo della sinistra che, sul piano del rigore di bilancio e della moneta unica, cavalli di battaglia di Angela Merkel, riuscirà a cambiare ben poco. Dopo la tornata elettorale che ha visto l’affermazione della sua Cdu, in compagnia della Csu, la Merkel comincia a delineare le mosse dei prossimi giorni. La soddisfazione della cancelliera, naturalmente, è massima. Del resto con il 41,5% dei consensi raccolti dall’accoppiata Cdu-Csu, la Merkel può guardare con relativa tranquillità al suo terzo mandato. “Ora la Germania ha bisogno di un governo stabile”, ha spiegato ieri, “e noi assolveremo a questo compito”. Subito dopo si è detta “aperta” a discutere la formazione del governo con la Spd: “Abbiamo già avviato i primi contatti con la presidenza del partito”. Il che non esclude, ha aggiunto, contatti “con altri partiti come i Verdi”.
Il punto è che anche con Spd e Verdi nella grande coalizione, non sembra che la Germania sarà disposta a indietreggiare sul piano del rigore di bilancio e di difesa della moneta unica. Del resto è su questi temi che la cancelliera ha ottenuto l’ennesima affermazione. L’ipotesi della grande coalizione, che naturalmente è sul piatto di una trattativa, non viene però data per scontata dai socialdemocratici. “Non ci sono automatismi per una grande coalizione”, ha provato un po’ a frenare sempre ieri il leader della Spd, Sigmar Gabriel. Il quale, in una nota diffusa su internet, ha anche aggiunto che “non ci sarà alcuna decisione rapida”. Ma probabilmente si tratta di un gioco delle parti, destinato a finire nel momento in cui bisognerà andare sul concreto. Sulla questione è intervenuto pure il premier italiano, Enrico Letta, secondo il quale “dal voto tedesco emerge un modello di cooperazione simile a quello che stiamo attuando in Italia. Forse in Italia si capirà che quando i risultati elettorali obbligano a una grande coalizione bisogna farsene una ragione”. Tornando a Berlino, delusione si è respirata ancora ieri all’interno di Alternativa per la Germania, il partito critico nei confronti della moneta unica che ha sfiorato l’approdo in parlamento, fermandosi al 4,8%. Anche se, hanno sostenuto i suoi leader, l’appuntamento è rinviato alle elezioni europee.