Doveva essere la rivalsa di Michele Emiliano contro un ingiusto provvedimento disciplinare, voluto dal Csm un anno fa, ma si è trasformato in un devastante boomerang. Già perché ieri la Cassazione ha messo la parola fine sul ricorso presentato dal governatore dem della Puglia contro la sanzione disciplinare dell’ammonimento, disposta dal Consiglio superiore della magistratura per aver violato il divieto per le toghe di iscriversi a un partito politico e partecipare alla sua attività anche se in aspettativa. “Il diritto del magistrato di partecipare alla vita politica deve essere necessariamente bilanciato con la tutela di altri beni giuridici costituzionalmente protetti, quali il corretto esercizio della giurisdizione e il prestigio dell’ordine giudiziario nonché i principi di indipendenza e imparzialità della magistratura che costituiscono i capisaldi dello stato di diritto, posto a base del disegno costituzionale”, affermano i giudici delle sezioni unite civili della Cassazione nel respingere l’istanza.
Sempre secondo loro non può essere ammesso il concetto secondo cui “ il mandato elettorale liberi il magistrato dai doveri e dai vincoli che incombono sui componenti dell’ordine giudiziario” in quanto il magistrato non smette mai i propri panni, essendo chiamato a rispondere della condotta tenuta anche al di fuori dell’esercizio delle funzioni; e l’elezione non spezza, neppure temporaneamente, il legame di appartenenza del magistrato all’ordine giudiziario, perché – allo stato della legislazione vigente – il magistrato eletto, una volta cessato il mandato elettorale, può tornare ad esercitare la giurisdizione”.
LA DISCESA IN CAMPO Insomma il “divieto di iscriversi a un partito politico” è una norma chiara per tutti. Ma non per Emiliano che, invece, è convinto del contrario perché a suo dire un giudice in aspettativa per mandato politico deve anche essere libero di “fare politica” e quindi elaborare dall’interno le idee di un partito. Proprio quello che ha fatto quando nel 2004, dopo aver mollato il posto di pubblico ministero a Bari, scende in campo per correre a sindaco. Una nuova vita, quella in politica, che evidentemente stuzzica la fantasia del dem che vede aprirsi davanti a sé le porte di un’ulteriore ascesa. Così si candida – e vince – anche per il ruolo di presidente della Puglia. Ma Emiliano, ormai diventato a tutti gli effetti un politico pur restando in aspettativa, vuole di più e si candida al ruolo di segretario del Partito democratico sfidando – e questa volta perdendo – Matteo Renzi.
BACCHETTATO PURE DAL TAR A ben vedere questi ultimi giorni sono stati tutt’altro che felici per il governatore Emiliano, stretto tra l’emergenza sanitaria e noie con la Giustizia. Oltre alla Cassazione, infatti, due giorni fa un’altra tegola è caduta sulla testa del dem. Si tratta del parere del Tar che ha accolto nel merito il ricorso di alcune aziende agricole e quindi annullato la graduatoria regionale della misura 4.1A del Piano di sviluppo rurale (Psr, ndr). Può sembrare una grana di poco conto ma con questo verdetto c’è il rischio per la Puglia di perdere 77 milioni di fondi europei per l’agricoltura che sono in scadenza. Una vicenda su cui si sono fiondate le opposizioni con i consiglieri di Fratelli d’Italia, Forza Italia e Area Popolare, che hanno chiesto al governatore di lasciare le deleghe alla Agricoltura perché “la sentenza del Tar ha di fatto sancito il fallimento delle sue politiche agricole”.