di Gaetano Pedullà
Un giorno inutile per il Parlamento. Il minuetto delle nostre istituzioni non fa sconti. Le dichiarazioni di Letta, i seri discorsi di condanna dalle opposizioni, la faccia dura e subito l’indulgenza dalla maggioranza… come se l’epilogo non sia già tutto previsto. Alfano salvo, il caso Shalabayeva non è mai esistito, il terremoto al vertice del Viminale è un colpo di sole. Il governo sta al suo posto con la spina ben attaccata alla corrente, come ordina il Quirinale. Ma ieri per blindare Palazzo Chigi, re Giorgio Napolitano ha dovuto superare se stesso. Con un’ingerenza nelle decisioni del Parlamento che non ha eguali nella storia del Paese, il presidente della Repubblica ha dettato la linea ai partiti, a cominciare dal suo. La Costituzione è morta. E la trasformazione dello Stato da Repubblica parlamentare in Repubblica Presidenziale compiuta. Senza un articolo di legge. Senza un voto dei cittadini. Senza una parola dei nostri costituzionalisti. Dunque tutto resta uguale. Uguale il governo. Uguale la crisi. Uguali le facce di chi paralizza da anni l’Italia, compresi i due grandi partiti incapaci di un sussulto. Il Pdl è paralizzato dalla sentenza di fine mese su Silvio Berlusconi. Falchi e Colombe nella stessa gabbietta in attesa delle decisioni del capo. Nel Pd la spaccatura è plateale. A Renzi che continua a porre questioni serissime, compresa la riforma elettorale, la nomenclatura del partito continua a opporre un muro. Una condanna per il sindaco di Firenze che inizia a logorare la sua immagine, ma una condanna anche per lo stesso Partito democratico che porta al mattatoio cantando il suo unico cavallo vincente. Adesso però il governo ha un nuovo bonus in meno. L’augurio è che usi il credito residuo per fare – e non rinviare – delle cose, compresa la riforma elettorale. Il timore è che però morto un caso del Kazakistan se ne faccia subito un altro.