“Io non so cosa direi a un operaio”. Sta tutta in questa deflagrante frase l’essenza del percorso politico che ha compiuto il Partito democratico. La frase l’ha pronunciata Irene Tinagli, vicesegretaria del Partito democratico appena voluta dal nuovo segretario Enrico Letta. La biografia di questa quasi 47enne è ricca (troppo) di esperienze politiche. Esordisce con Rifondazione comunista e nel 2008 la troviamo a fondare il Pd. Inizia con Walter Veltroni, ma presto ne prende le distanze dimettendosi da un gruppo di studio sui problemi dell’economia e del lavoro.
Nel 2009 la troviamo a gravitare intorno a Luca Cordero di Montezemolo con il pensatoio di “Italia futura”, minaccia mai decollata ma sempre utilizzata tatticamente della politica italiana. Nel 2009 è consigliera del ministro dell’Istruzione Profumo sulle smart city nel governo Monti. Nel 2013 viene finalmente eletta con Scelta Civica e prova a diventare segretaria del partito ma poi ritira la candidatura. Nel 2015 non resiste e torna nel Partito democratico e nel 2016 la troviamo renziana. Nel 2019 punta l’Europa e risulta eletta con il Pd. Poi il gran salto al vicariato di Letta.
Che dire? Una esperienza politica a 360 gradi che partendo dall’estremismo comunista, approda, come nelle migliori tradizioni di eterogenesi dei fini, al conservatorismo di Mario Monti e al “destrismo” di Matteo Renzi passando per il liberal Montezemolo. Per carità, ce ne sono altri, ad esempio l’ex pantera Gennaro Migliore si è fatto un bel tragitto da sinistra e destra, ma non ha mai avuto ruoli di guida di un partito. Ora la domanda è: cosa può dare la Tinagli al Partito democratico?
Siamo ancora nel periodo dei ninnoli colorati che servivano ad incantare i selvaggi (leggi gli elettori) di Matteo Renzi, che, ricordiamolo, è riuscito nel capolavoro di abolire l’articolo 18 dello statuto dei lavoratori? Che componente dei democratici rappresenta? Matteo Renzi? O Il protagonismo liberista di un partito che ha perso da tempo la sua matrice di sinistra’. In ogni caso quella frase sul non sapere cosa dire ad un operaio è la plastica rappresentazione di cosa sia ora un partito che nasceva come erede di quello che è stato il più grande partito comunista d’Occidente e che ora “non sa più che dire ad un operaio”.