Ci sono voluti 15 anni, ma alla fine la Corte d’appello ha chiuso un lungo contenzioso che fa gioire Tim. E i suoi conti. I giudici hanno deciso che deve essere restituito il canone concessorio previsto per il 1998, ovvero l’anno successivo alla liberalizzazione del settore. La società ne ha chiesto e ora ottenuto la restituzione. Che per lo Stato vuol dire un esborso, tra cifra versata e interessi, di circa un miliardo di euro.
Palazzo Chigi ha subito annunciato che presenterà ricorso contro la decisione della Corte d’appello di Roma, ma al momento l’azienda si attende un maxi-pagamento che comprende il canone originario (pari a poco più di 500 milioni), la rivalutazione e gli interessi maturati. La sentenza è immediatamente esecutiva e Tim avvierà subito le procedure per il recupero dell’importo. E intanto festeggia in Borsa, con una chiusura al +5,19%.
I fatti: il canone del 1998 e il rimborso a Tim
La questione nasce nel 1998, ovvero l’anno successivo alla liberalizzazione del settore. La finanziaria stabilì il pagamento del contributo obbligatorio agli operatori delle telecomunicazioni calcolato in base al fatturato, in sostituzione del canone di concessione divenuto inapplicabile. Così al gruppo furono chiesti 528,7 milioni di euro tra Telecom Italia e Telecom Italia Mobile. Nel 2000 la società ha presentato ricorso contro il decreto attuativo che stabiliva le modalità di versamento del contributo e il Tar del Lazio ha rinviato la questione alla Corte di Giustizia europea.
Nel febbraio del 2008 i giudici comunitari si sono espressi a favore del gruppo, ritenendo il canone “non dovuto”. Il Tar del Lazio aveva però detto no al rimborso, pur giudicando corretta la sentenza europea. Telecom aveva quindi fatto ricorso al Consiglio di Stato e da qui si è arrivati al ricorso in appello. Che ha dato ragione a Tim. Sulla questione la Corte di Giustizia dell’Ue è intervenuta più volte, segnalando di fatto l’incongruenza tra la direttiva sulla liberalizzazione del mercato tlc e le norme nazionali.
Anche nel 2020 la magistratura europea ha ribadito il concetto e il divieto di prorogare per il 1998 l’obbligo imposto a un’impresa di tlc (prima concessionaria come Tim) di versare un canone calcolato in funzione del fatturato. La nuova sentenza condanna quindi lo Stato a pagare, ma la presidenza del Consiglio ha comunicato, subito dopo la decisione dei giudici, che “proporrà ricorso per Cassazione e chiederà la sospensione degli effetti esecutivi della pronuncia”. La battaglia, dopo 15 anni, ancora non è finita.