Sulla ThyssenKrupp tradimento di Stato. Dopo 14 anni la strage è ancora senza colpevoli. L’ira dei familiari delle vittime: “Una presa in giro”

Neppure una tragedia come quella della ThyssenKrupp di Torino è riuscita a rendere l’Italia un Paese più sicuro per chi lavora.

Sulla ThyssenKrupp tradimento di Stato. Dopo 14 anni la strage è ancora senza colpevoli. L’ira dei familiari delle vittime: “Una presa in giro”

Neppure una tragedia come quella della ThyssenKrupp di Torino è riuscita a rendere l’Italia un Paese più sicuro per chi lavora. Nei primi otto mesi dell’anno sono state registrate ben 772 morti bianche, più di tre vittime al giorno. E come se non bastasse per quel terribile incidente del 6 dicembre 2007 pochi e poco hanno pagato. Ieri, in occasione dell’anniversario della strage di sette operai, i familiari delle vittime sono così tornati a far sentire la loro voce, con un’accusa precisa che va direttamente al cuore dello Stato.

“Ci sentiamo presi in giro, traditi da uno Stato di cui non ci fidiamo più. La nostra tragedia è stata dimenticata, ma noi non possiamo dimenticare”, hanno detto. E poi l’ennesimo appello da parte della madre di Giuseppe Demasi, una delle vittime: “Lo Stato deve intervenire affinché gli infimi personaggi che non hanno mai chiesto perdono, e sono sfuggiti alle loro responsabilità, siano puniti”.

IL CASO. Quattordici anni fa nell’acciaieria piemontese otto operai furono coinvolti in un’esplosione e solo uno si salvò. Vennero fuori dalle indagini gravissime carenze sul fronte della sicurezza. Il 15 aprile 2011 la Corte d’assise di Torino, confermando le accuse a carico di Herald Espenhahn, amministratore delegato della società ThyssenKrupp Acciai Speciali Terni spa, lo condannò a 16 anni e 6 mezzo di carcere. E per altri cinque manager vennero emesse condanne tra i 13 anni e mezzo e i 10 anni e 10 mesi.

Due anni più tardi, però, la Corte d’assise d’appello riformò la sentenza e ritenne che non si fosse trattato di omicidio volontario, ma colposo. Soli dieci anni di carcere dunque a Espenhahn, 7 anni a Gerald Priegnitz e Marco Pucci, 8 anni a Raffaele Salerno e Cosimo Cafueri, e 9 a Daniele Moroni. Sentenza confermata dalla Cassazione, che ordinò però un nuovo giudizio d’appello per ridefinire le pene. Si è arrivati così, nel 2015, a 9 anni ed 8 mesi per Espenhahn, 7 anni e 6 mesi per Moroni, 7 anni e 2 mesi per Salerno, 6 anni e 8 mesi per Cafueri, e 6 anni e 3 mesi per Pucci e Priegnitz (leggi l’articolo). Con i manager tedeschi che, grazie alle leggi della Germania, hanno potuto evitare il carcere.

IL DOLORE. “Quella notte ha stravolto la mia vita – ha dichiarato ieri Antonio Boccuzzi (nella foto), l’unico operaio sopravvissuto – ha stravolto la vita dei familiari dei miei compagni e purtroppo ha tolto la vita a dei ragazzi che avevano forse un unico peccato: quello di essere nati con l’esigenza di lavorare per vivere. Rappresenta un pochino anche la decadenza del mito del luogo di lavoro, cioè il luogo di lavoro rappresentato come un mezzo, un sistema per realizzare un sogno più o meno grande: l’acquisto di un paio di scarpe o la realizzazione di una famiglia si è trasformato in qualcosa di completamente diverso, ha portato via delle vite”.

“Quel devastante incendio rimane una ferita tremenda per la città. E forte rimane anche il dolore e la richiesta di giustizia”, ha aggiunto il sindaco di Torino, Stefano Lo Russo. Ad auspicare che venga finalmente fatta giustizia è stata quindi l’ex sindaca Chiara Appendino.

“Nel caso della strage della Thyssen la memoria non è ancora stata assorbita dalla coscienza collettiva. Da un lato, perché è una ferita ancora aperta per la nostra città e la nostra comunità – ha detto – dall’altro perché ancora quella storia non si è chiusa, ancora non vi è stata giustizia. Dietro a ogni morte sul lavoro vi è una responsabilità, e se non si sarà chiamati a rispondere, le morti sul lavoro continueranno”.