di Fabrizio Di Ernesto
Sei anni dopo l’operazione Piombo fuso ed un periodo di calma apparente, nuovi venti di guerra spirano tra Libano e Israele, dopo due giorni in cui si è sparato da ambo le parti. La situazione appare destinata a precipitare anche perché ieri due esplosioni sono avvenute a Tripoli, nel nord del Paese dei cedri, in prossimità di due moschee sunnite provocando più di quaranta morti e oltre 500 feriti, questo almeno quanto dichiarato da funzionari della sicurezza libanese e dall’agenzia di stampa National news agency. Da considerare che gli attentati sono stati effettuati di venerdì, ovvero il giorno della preghiera per i musulmani.
I luoghi non sono stati scelti a caso dagli attentatori visto che una delle due esplosioni è avvenuta nella moschea di Taqwa, luogo particolarmente noto tra i libanesi, per essere quella in cui prega Salem Rafei, religioso salafita tra i più attivi antagonisti del movimento libanese di Hezbollah e sostenitore della rivolta siriana contro Assad, posizione questa poco condivisa dai libanesi. Sempre in quella zona giovedì scorso era stato ucciso, in un agguato, un miliziano vicino agli uomini del Partito di Dio, ed inoltre si trova nei pressi della casa del premier dimissionario Najib Mikati che tuttavia, secondo il suo ufficio, in quel momento non si trovava a Tripoli.
Per quanto attiene invece alla seconda bomba, questa è esplosa vicino alla moschea Salam nel quartiere di Al Mina, dove è situato il porto, non lontano dalla casa dell’ex capo della polizia Ashraf Rifi. Alcuni testimoni hanno riferito di aver udito anche colpi di arma da fuoco.
Località poco nota ai più, Tripoli è da tempo teatro di una lotta tra fazioni armate sunnite, oppositrice del presidente siriano Bashar al Assad, e alawite, apertamente schierate dalla parte di Damasco. Una settimana fa un altro attentato nel paese aveva provocato la morte di 24 persone nella zona meridionale di Beirut, roccaforte del movimento Hezbollah.
Il raid israeliano
La giornata in Libano si era già aperta all’insegna della paura e del terrore per via di un raid aereo portato da Israele, che aveva colpito obiettivi sensibili a sud di Beirut. Tel Aviv ha deciso di compiere questa operazione come ritorsione dopo che giovedì dal Paese dei cedri erano stati sparati quattro razzi contro il paese. A confermare l’attacco sia fonti israeliane che palestinesi. Fonti militari di Tel Aviv hanno dichiarato che il loro velivolo ha individuato e colpito “un sito terroristico localizzato tra Beirut e Sidone”; Ramez Mustafa, funzionario in Libano del Fronte popolare per la liberazione della Palestina, ha però dichiarato che l’azione israeliana non ha sortito gli effetti sperati non avendo provocato danni a cose o persone, e specificando che gli attacchi sono stati portati nell’area della città costiera di Naameh, 16 chilometri a sud di Beirut. L’esponente palestinese ha riferito di essere rimasto sorpreso dall’attacco, anche perché il lancio del primo razzo contro Israele era stato rivendicato da un gruppo musulmano sunnita separato dalla loro fazione e collegato ad al Qaida. Ovviamente però, anche questo obiettivo non è stato scelto a caso visto che proprio in quella zona hanno il loro quartier generale i palestinesi; subito dopo il raid i militari libanesi hanno chiuso tutte le vie d’accesso al luogo.
La posizione di Tel Aviv
Tramite un comunicato diffuso subito dopo l’azione aerea l’esercito israeliano ha confermato che il raid è avvenuto in segno di ritorsione dopo la provocazione di giovedì. Il lancio di quei missili per loro rappresenta infatti “una palese violazione della sovranità di Israele che ha messo a rischio la vita civile del Paese. Israele non tollererà aggressioni terroristiche provenienti dal territorio libanese”.