Black Flag è stata ribattezzata l’operazione in corso nelle prime ore di questa mattina. “Bandiera nera”, come appunto quella dell’Isis e del terrorismo degli ultimi mesi. Dalle prime ore di questa mattina, infatti, sono in corso perquisizioni in tutto il Lazio nei confronti di sospettati di appartenere ad organizzazioni terroristiche.
Nell’ambito dell’operazione, peraltro, è stata eseguita una misura di custodia cautelare in carcere, nei confronti di un affiliato a Ansar Al- Sharia, Hmidi Saber, organizzazione libica considerata legata ad al-Qaeda.
L’uomo si trova già in prigione, arrestato per reati che non hanno a che vedere col terrorismo. Ma è proprio nel corso della detenzione che ha fatto proseliti. “Questa operazione dimostra come il carcere sia un luogo di aggregazione per diffondere ideologie terroristiche” dicono gli inquirenti.
Il proselitismo – Era il carcere il luogo di reclutamento e proselitismo per Hmidi Saber, il tunisino di 34 anni, già detenuto per altra causa, arrestato oggi dalla Polizia. Ha vagato da un carcere italiano all’altro, trasferito sempre motivi di sicurezza a causa del suo comportamento pericoloso e violento. La “radicalizzazione religiosa” sarebbe iniziata durante una detenzione nel carcere di Velletri nel 2011. L’uomo, secondo gli inquirenti, sarebbe collegato, come detto, all’Ansar al-Sharia (i seguaci della legge divina di Allah, definito dal governo Tunisino, dalle N.U. dagli USA, dagli Emirati Arabi e dal Regno Unito, come gruppo terroristico jihadista attivo in Tunisia dal 2011). Si tratta di una organizzazione che si ritiene sia affiliata e, di fatto, ricompresa all’Isis, per danneggiare le popolazioni di diversi Stati fra i quali, Tunisia, Libia e Siria. L’uomo in carcere aveva in custodia la bandiera dell’organizzazione e proprio fra le mura degli istituti di pena dove è stato rinchiuso, avrebbe istigato e fatto propaganda alla discriminazione religiosa e all’arruolamento nelle fila dell’Isis in Libia, in Siria. Inoltre, avrebbe manifestato il proposito di essere pronto a recarsi in zona di combattimento per svolgere il suo compito nella Jihad (la guerra santa).
Saber fu arrestato a Roma la notte del 9 novembre 2014, in via dei Sette Metri, in zona Malafede. L’uomo era al volante della sua Volkswagen Golf, in compagnia di un’altra persona. Fermato per un controllo, gli agenti hanno trovato nella sua auto una bomboletta spray anti aggressione, un passamontagna e un paio di guanti in lattice. Alla richiesta di spiegazioni, il tunisino ha impugnato una pistola e l’ha puntata contro gli agenti che hanno ingaggiato con un lui una colluttazione durante la quale, il presunto terrorista ha perso la pistola ma è riuscito a fuggire con l’altro straniero. La pistola una Browning 9×21, completa di caricatore e 15 cartucce, è risultata rubata in Puglia nel 2014. La patente esibita all’atto del controllo ha permesso agli agenti di identificare l’uomo. Una perquisizione in casa davanti alla moglie italiana Caterina, convertita all’Islam e sposata nel 2008 e dalla quale è nata una bambina, ha consentito di trovare il passaporto dello straniero che era con lui in auto e poi identificato in Rchouki Abdelghani, marocchino del ’79, clandestino irreperibile sul territorio nazionale. Gli agenti hanno poi sequestrato 33 telefoni cellulari, 8 pc portatili, 2 Ipad, 1 hard disk esterno ed una bandiera nera. Hmidi Saber è stato poi arrestato la sera dopo nel quartiere romano di San Basilio e subito sottoposto a fermo per i reati di detenzione e porto illegale di arma comune da sparo, ricettazione, lesioni aggravate e resistenza a pubblico ufficiale: reati per i quali veniva processato e condannato alla pena di anni 3 e 8 mesi di reclusione che sta scontando.
Saber, come detto, ha iniziato la sua radicalizzazione nel carcere di Velletri, nel 2011 dove si trovava dopo un arresto per droga. Lì, da quelle mura carcerarie era uscito profondamente cambiato ed aveva iniziato a praticare l’Islam frequentando le moschee. A quel periodo risalgono i primi contatti con i fratelli tunisini della Sharia ed è in quell’occasione che l’uomo entra in possesso di una bandiera del gruppo terroristico del tutto simile a quelle del califfato dell’Isis. Sulla bandiera ci sono le scritte che individua la “Shaada” ossia la professione di fede “non vi è altro Dio oltre Dio” mentre al centro compare il sigillo di Maometto che si traduce in : “Mohamed è il messaggero di Allah”. Sotto c’è il logo centrale la scritta “Ansar al Shari-a”, simbolo dell’organizzazione terroristica operativa in Tunisia e Libia. E proprio in quei territori, Hmidi concentra la sua attenzione: lo dimostrano le molte ore trascorse a guardare filmati sull’Isis ed emerge la sua volontà di trasferirsi in Siria per combattere in favore del Califfato.
Addirittura, nel febbraio del 2015 Hmidi Saber si è posto a capo di un gruppo di preghiera per creare problemi di natura gestionale e di adattamento con gli altri detenuti. Il suo modus operandi ha assunto un carattere violento a partire da giugno 2015, quando, nel carcere di Civitavecchia è stato il mandante di una vera e propria spedizione punitiva verso un detenuto che si era lamentato delle preghiere notturne che il gruppo, guidato dall’indagato, imponeva. Anche nel carcere di Frosinone, dove era stato trasferito per motivi di sicurezza, nel mese di luglio 2015, si è reso nuovamente protagonista di una violenta aggressione nei confronti di un detenuto italiano che aveva contestato i continui ed insistenti discorsi inneggianti all’Islam. Il NIC (Nucleo investigativo Centrale della Polizia Penitenziaria) ha raccolto ulteriori elementi sull’azione di radicalizzazione ed indottrinamento tanto che nell’agosto 2015, anche un suo compagno di preghiera ha denunciato alla Polizia Penitenziaria di aver subito soprusi e imposizioni.
Una volta a Napoli, dopo un ulteriore trasferimento per motivi di sicurezza, il tunisino si è reso responsabile, nel maggio 2016, di una nuova violenta aggressione ai danni di un detenuto nigeriano di fede cristiana. Assegnato al carcere di Salerno, Saber è stato protagonista di numerose violazioni penali e disciplinari. In un caso specifico Himdi urlò agli agenti che gli avrebbe tagliato la testa se non lo avessero accontentato nelle sue richieste. Nel settembre 2016, trasferito, sempre per motivi di sicurezza nel carcere di Viterbo, ha aggredito gli agenti.