Dell’avversione per i giornalisti ne abbiamo parlato e ne parleremo ancora. Per un governo piantato sulla propaganda, l’esposizione dei fatti e la memoria delle regole saranno sempre nemici da mettere all’indice. Poi c’è l’enorme tema della comunicazione a senso unico di cui si parla troppo poco.
Per farsi un’idea basta una data: il 4 gennaio. È dal 4 gennaio che la presidente del Consiglio non convoca una conferenza stampa, non risponde a domande, non apre i microfoni anche ai giornalisti non compiacenti, non si sottopone al necessario controllo democratico svolto dai media, elemento intermedio dei cittadini.
I messaggi di Giorgia Meloni non sono mediati e non sono mediabili. Confezionati a metà tra il comunicato istituzionale e gli spot pubblicitari degli anni ottanta le parole della presidente del Consiglio vengono diffuse senza possibilità di dibattito. In Parlamento vengono difese dai suoi palafreni della maggioranza che quasi mai rispondono nel merito delle questioni. In televisione le sue parole soffiano barricate tra giornalisti legionari. In Rai rimbombano svilendo la storia e la credibilità delle reti pubbliche italiane.
Che Giorgia Meloni gigioneggi sui suoi social come un’influencer che promuove il suo prodotto dileggiando la Rai e poi venga trasmessa dalla stessa Rai derisa è solo l’ultimo passo di un’occupazione sfrontata. Un servizio del Tg1 che trasmette Giorgia Meloni con il logo Telemeloni è uno svilimento che rimarrà negli annali. Non è simpatia, c’è poco da ridere.