di Maurizio Grosso
Equitalia in fibrillazione. Un presunto giro di mazzette, che sarebbe stato messo in piedi per favorire indebitamente alcuni contribuenti in giro per l’Italia, ha portato ieri alla bellezza di 29 perquisizioni in diverse sedi e domicili della società, dell’Inps e dei soggetti coinvolti. La Guardia di finanza ha condotto accertamenti a Roma, Genova, Latina, Venezia e Napoli. Al momento gli indagati per corruzione sono cinque: Roberto Damassa, ex dirigente per il Lazio di Equitalia, Salvatore Fedele, dipendente della società di riscossione, il commercialista Domenico Ballo, l’imprenditore Romolo Gregori e il consulente Alberto Marozzi. Destinatario di una perquisizione, a quanto pare senza essere indagato, è risultato anche Francesco Pasquini, attuale responsabile della direzione di Equitalia in Liguria. Gli accertamenti, inoltre, coinvolgono altri 13 tra imprenditori, professionisti e dirigenti delle società di riscossione tributi. In base all’ipotesi investigativa, portata avanti dalla procura di Roma, i funzionari di Equitalia avrebbero in alcuni casi accolto richieste di rateizzazione delle cartelle esattoriali pur in mancanza dei requisiti richiesti. Tra le altre cose avrebbero fatto apparire come versati contributi previdenziali in realtà mai pagati, condizione proprio per ottenere la rateizzazione. Il tutto in cambio di una media di mille euro per ogni caso “intermediato”. Secondo il procuratore aggiunto di Roma, Nello Rossi, si tratterebbe di una corruzione “sistemica e seriale”, in grado quindi di promettere sviluppi futuri. Anche perché, ha spiegato Rossi, che coordina i pm Maria Francesca Loy e Francesco Ciardi, con l’inchiesta “è stata individuata una rete di contatti” che potrebbe far pensare a un perimetro di anomalie anche più grande di quello sinora emerso.
Le persone
Tra i personaggi intorno ai quali stanno ruotando gli accertamenti c’è Roberto Damassa, ex dirigente per il Lazio di Equitalia, da cui è uscito circa 3 anni fa. Damassa si occupa da molto tempo dell’attività di riscossione nel Lazio. Dopo trascorsi in Banca di Roma, infatti, è transitato per il Monte dei Paschi, ovvero l’istituto di credito che precedeva Equitalia nell’attività di riscossione delle tasse a Roma e nel Lazio. Personaggio molto conosciuto, anche dai massimi vertici della holding, Damassa a Roma ha lavorato sotto Pasquini, l’altro funzionario toccato in qualche modo dall’inchiesta. Pur non risultando indagato, infatti, ha subìto ieri una perquisizione. Da registrare che Pasquini è da poco stato trasferito alla direzione di Equitalia in Liguria, dopo aver svolto per diversi anni lo stesso incarico nel Lazio. Ancora a dicembre del 2012, tanto per fornire un esempio, firmava accordi d collaborazione tra Equitalia e l’Ordine dei commercilisti di Roma in qualità di direttore per il Lazio della società di riscossione. Nella serata di ieri, ad ogni modo, la holding di riscossione presieduta da Attilio Befera ha diffuso un comunicato per chiarire che “nessun dirigente di Equitalia ha ricevuto avvisi di garanzia” e che “al momento risulta indagato un unico dipendente, con sede di lavoro a Roma, che Equitalia ha provveduto ad allontanare in via cautelativa dal servizio”. Il riferimento, in quest’ultimo caso, è a Salvatore Fedele. Ma il fatto che nessun funzionario risulti al momento raggiunto da un avviso di garanzia non significa che non sia oggetto di indagine da parte degli inquirenti. Secondo quanto è stato possibile ricostruire, tra l’altro, ieri sarebbero state perquisite le abitazioni di decine di dipendenti di Equitalia, “responsabili” di aver effettuato accessi sul sistema informatico della società per verificare alcune posizioni fiscali. L’obiettivo dei pm, in questo caso, potrebbe essere quello di accertare in quali limiti questi accessi siano legati alle ipotesi corruttive su cui in queste ore si sta ragionando.
La posizione di Equitalia
“Equitalia sta collaborando con gli inquirenti”, ha fatto sapere in una nota la società di Befera, “perché venga fatta piena luce sui fatti oggetto di indagine e sulle eventuali responsabilità”. L’azienda, continua il documento, “rimarrà a disposizione per fornire tutti i documenti e le informazioni necessarie e procederà a porre in essere le opportune iniziative a tutela della funzione pubblica dell’agente di roscossione e della propria immagine”. Ma al di là della dichiarazione di rito, perché è ovvio che la società non possa esimersi dal collaborare, non c’è dubbio che l’inchiesta in corso non farà dormiree sonni tranquilli a Equitalia. Anche perché non si tratta della prima inchiesta che la lambisce (vedio articolo accanto).
L’altra inchiesta per mazzette che mette in imbarazzo il Fisco
di Sergio Patti
A scuotere i vertici del Fisco, qualche mese fa, è arrivata un’altra inchiesta, stavolta nata a Firenze. Un’indagine che peraltro aveva portato in carcere l’allora direttore provinciale del capoluogo toscano, Nunzio Garagozzo. Accertamenti fiscali “morbidi” in cambio di mazzette è l’accusa formulata a inizio 2013 dal pubblico ministero Paolo Barlucchi, per certi aspetti simile a quella che ha portato la procura di Roma ieri a innescare perquisizioni a tappeto in diverse sedi di Equitalia. Al centro dell’inchiesta fiorentina, nel cui ambito sono ancora in corso accertamenti, c’è Nunzio Garagozzo, funzionario di spicco delle Entrate conosciuto anche dai massimi vertici dell’amministrazione finanziaria. In questi mesi la procura ha cercato di verificare sei comportamenti imputati a Garagozzo fossero limitati ad episodi circoscritti o avessero un perimetro più ampio.
La vicenda
Accanto all’arresto del numero uno dell’agenzia delle entrate di Firenze, a scatenare il terremoto era stato l’ordine di cattura per il commercialista Silvio Mencucci. Il quale, in uno dei vari interrogatori, aveva ammesso la responsabilità nel mitigare gli effetti di alcuni controlli fiscali: «Sì, ho fatto da intermediario. Ma non ho preso un centesimo», aveva detto ai magistrati.
Il suo ruolo, secondo quanto ripetuto dal commercialista, era quello di semplice mediatore. E su input di Garagozzo, in un’occasione, avrebbe richiesto una tangente di cinque mila euro e in un’altra di dieci mila. Una situazione non totalmente sconosciuta per il commercialista, che durante una delle conversazioni intercettate dagli investigatori si era vantato di essere uscito indenne da un’inchiesta analoga circa 20 anni fa, quando lavorava nell’ufficio imposte di Firenze. Ma stavolta per lui, stando alle dichiarazioni rilasciate mesi fa, si tratterebbe di una collaborazione infruttuosa, nata sulla base dell’amicizia con il direttore, dell’imbarazzo che avrebbe provato nel rifiutare “gli incarichi” e dell’opportunità di saltare le interminabili file dell’agenzia delle entrate. «Un fatto di immagine», aveva spiegato il suo legale, Alessandro Traversi
Imbarazzo a Roma
E se a Firenze ancora oggi qualcuno è in fibrillazione, anche all’Agenzia delle Entrate a Roma l’imbarazzo rimane. Anche perché, proprio nei mesi in cui l’indagine prendeva corpo, sul numero uno dell’Agenzia è piovuta l’accusa di un imprenditore. “Attilio Befera era informato di quanto accadeva nell’Agenzia delle entrate di Firenze e sapeva di alcune irregolarità”, ha detto nei mesi scorsi Vincenzo Freni, titolare di un istituto di ricerca di mercato toscano, già finito sotto i riflettori della cronaca: il fisco gli contestò un ammanco di oltre 130mila euro. La Commissione Tributaria ha poi tagliato il debito a meno di 4 mila euro. Una discrepanza che ha dell’incredibile.
I fatti
La richiesta era stata avanzata dall’Agenzia provinciale guidata proprio da Garagozzo, che successivamente sarebbe stato arrestato con le accuse di concussione, tentata concussione e induzione alla corruzione. A quell’epoca, ha raccontato Freni, in apertura della fase del contraddittorio un funzionario della sede fiorentina gli aveva proposto anche uno sconto: il 50% della somma perché “il direttore ha detto che si può fare una riduzione”. Una pretesa assurda, secondo l’imprenditore, che ha sempre sostenuto di non aver mai evaso neanche un centesimo. Freni aveva quindi iniziato la sua battaglia, divulgando la situazione anche ai media. Proprio a seguito di questo era stato convocato nella sede dell’Agenzia delle Entrate di Firenze: «Mi sono presentato con il mio avvocato e sono stato informato dal suo vicedirettore che Garagozzo si era molto dispiaciuto di quanto andavo raccontando – ha spiegato Freni – e che, per il danno di immagine che avevo procurato, il mio comportamento era stato segnalato alla Direzione Centrale in vista di iniziative legali». A quel punto, come ha più volte dichiarato, l’imprenditore ha preso carta e penna e ha scritto a Befera per segnalare le varie anomalie.
Solo un “travisamento”
Nel frattempo l’imprenditore ha vinto la sua battaglia, rivolgendosi alla Commissione Tributaria che in appello ha ridotto la somma richiesta dal fisco da un totale di 132 mila euro alla cifra, ben meno impegnativa, di 3.800. Dopo questa pronuncia anche il Garante del contribuente per la Toscana, al quale l’uomo aveva scritto, ha risposto alla sua istanza, facendo presente che “vi è stato indubbiamente un temporaneo travisamento da parte dell’Ufficio competente riguardo alla disciplina sull’applicazione degli studi di settore”. Tutto finisce bene, o quasi. Perché in questa battaglia Freni ha perso circa 30 mila euro in spese legali. Così, leggendo dell’arresto di Garagozzo e dello scandalo di Firenze, ha deciso di uscire di nuovo allo scoperto per raccontare che alcune gravi irregolarità, ai vertici, già erano state riferite. D’altro canto così terminava la sua lettera indirizzata al Direttore: “Gentile Dottor Befera, glielo posso anticipare, finché avrò vita e ragione, non resterò in silenzio, racconterò tutto, punto per punto, sorpruso su sorpruso, falsità su falsità”.