Tanto rumore per nulla. Tanto si è detto sugli atti del Comitato Tecnico-Scientifico in piena emergenza Covid-19, ma alla fine – alle legittime richieste della Fondazione Einaudi – il governo ha risposto anticipando il Consiglio di Stato e desecretando gli atti richiesti dal think-tank. Parliamo, d’altronde, dei verbali richiamati dai vari dpcm emanati nel periodo d’emergenza: era dopotutto doveroso comprendere le ragioni di alcune misure restrittive. E ora ognuno può farsi la sua idea.
Ciò che appare leggendo i verbali delle cinque riunioni in questione è che il governo ha seguito quasi interamente le indicazioni dei tecnici. Su un punto nel corso della giornata di ieri c’è stata ampia discussione: il 7 marzo gli scienziati avevano raccomandato al governo guidato da Giuseppe Conte “misure rigorose” solo per una intera Regione, la Lombardia, e 11 province: Parma, Piacenza, Rimini, Reggio Emilia e Modena, Pesaro Urbino, Venezia, Padova e Treviso, Alessandria e Asti. Definendo misure meno stringenti per il resto d’Italia.
Raccomandazioni in effetti seguite dall’esecutivo che, dopo la riunione, l’8 marzo, emana un primo dpcm – che tutti ricorderemo – nel quale chiude la regione di Fontana e 14 province, alle 11 del comitato si aggiungono Novara, Verbano Cusio Ossola e Vercelli. Ma due giorni dopo accade qualcosa di imprevisto e imprevedibile: la “fuga” in treno verso Sud e il contestuale aumento dei contagi. È lì che il governo decide che quelle misure devono essere applicate in tutta Italia: ed è il lockdown.
Nella conferenza stampa di presentazione del nuovo dpcm del 9 marzo, esecutivo dal 10, il premier ricorda che “l’avanzata del virus va contenuta” e che “i numeri ci dicono che stiamo avendo una crescita dei contagi” per questo “non possiamo permetterci di abbassare la guardia”. Questa la ragione per cui si decide di estendere il lockdown a tutto il Paese, anche senza una precisa indicazione del Comitato Tecnico-Scientifico. E qui sono arrivate le solite inutili critiche delle opposizioni. Ma in realtà vane. Anche perché il presidente del Consigli ha sempre specificato come i tecnici avrebbero dato consigli, ma la decisione sarebbe spettata alla politica. Esattamente come accaduto.
Resta comunque il fatto che, secondo i verbali visionabili, gli scienziati avevano suggerito, appunto, due livelli di contenimento e la facoltà da parte delle autorità locali di poter intervenire. In quel verbale viene proposto “di rivedere la distinzione tra cosiddette ‘zone rosse’ e ‘zone gialle‘” da istituire in “Emila Romagna, Lombardia e Veneto, nonché le province di Pesaro Urbino e Savona”, dove comunque già dall’1 marzo erano in vigore misure di contenimento come la sospensione degli eventi sportivi, e altre suggerite sempre dal comitato tecnico scientifico. Ciò che è avvenuto solo pochi giorni dopo è cronaca.