“È la fine dell’ingordigia politica andata avanti per decenni, una promessa mantenuta con i cittadini, l’occasione per ribadire il nostro modo di amministrare lo Stato: togliamo privilegi ai politici e li ridiamo al popolo”. Il Senato, in terza e penultima lettura, ha dato il via libera al taglio dei parlamentari – 345 in meno dalla prossima legislatura – e Luigi Di Maio fa fatica a contenere la soddisfazione. Dopo l’ultimo voto di Montecitorio, se nessuna forza politica dovesse richiedere un referendum confermativo, la sforbiciata di senatori (da 315 a 200) e deputati (da 630 a 400) riformerà la Costituzione dal prossimo anno.
“È un buon giorno per l’Italia”, dichiara il ministro per i Rapporti con il Parlamento Riccardo Fraccaro. Il taglio di circa il 30% dei seggi fa paura a tanti onorevoli. Meno scranni vuol dire meno eletti anche per la Lega che vanta nel Paese la maggioranza dei consensi. Ecco perché la sua approvazione, secondo i grillini, equivale a una sorta di blindatura della legislatura. Ma nessuno sarebbe pronto a giurare che l’esecutivo arrivi al traguardo con l’attuale assetto. E questo nonostante il premier Giuseppe Conte abbia fatto capire che, dopo le nomine di Lorenzo Fontana agli Affari europei e di Alessandra Locatelli alla Famiglia, i giochi per rinnovare la squadra di governo sono chiusi.
E a dispetto di quanto abbiano dichiarato i vicepremier, con Matteo Salvini interessato solo al nuovo ministro alle Politiche Ue e Di Maio pronto a glissare su ipotesi di rimpasto. A rendere necessario un cambio concorrono più fattori. Se a traslocare a Bruxelles dovesse essere, per il ruolo di commissario, Giancarlo Giorgetti, si libererebbe un posto di sottosegretario alla presidenza del Consiglio. Vacanti sono anche i posti al Mit prima occupati dai leghisti Armando Siri ed Edoardo Rixi. In ballo anche Massimo Garavaglia, il viceministro leghista all’Economia che attende nei prossimi giorni la sentenza in merito all’accusa di turbativa d’asta.
CHI RISCHIA. E poi c’è tutto il discorso interno al M5S. Squadra che vince non si cambia. Ma l’attuale compagine è uscita sconfitta dalle Europee dunque buon senso vorrebbe che si cambiasse, si ragiona tra i grillini. Anche se a livello di ministri non hanno raccolto grandi consensi Danilo Toninelli (Mit) Giulia Grillo (Sanità) Alberto Bonisoli (Mibac), è sulla schiera di sottosegretari, sottoposti a graticola dopo la batosta elettorale, che si concentra la voglia di cambiamento. Ad avvalorare il cambio nella squadra di governo potrebbe essere l’esigenza di mettere in piedi la nuova struttura che avrà il M5S con una “cabina di regia” che potrebbe arrivare fino a 15-20 membri. E di cui si saprà qualcosa lunedì. Sarebbero esclusi quanti detengono incarichi istituzionali o di governo. In pole position per occupare un posto al sole Alessandro Di Battista, il che vorrebbe però dire automaticamente escludere Roberto Fico.
In ogni caso verranno decise prima le caselle da riempire e poi le candidature sulle quali, in perfetto stile M5S, deciderà la rete. Quelli destinati a uscire dal governo potrebbero, in questa logica, essere recuperati nella nuova struttura di vertice del Movimento. Di cui si sarebbe parlato nell’incontro avvenuto mercoledì sera tra Di Maio e i sottosegretari. Un incontro ufficialmente “per fare il punto periodico sul lavoro fatto e chiudere il ciclo di incontri interni al movimento”. L’esigenza “di fare il punto sul lavoro fatto” potrebbe preludere a un bilancio sull’operato di ciascun sottosegretario che, unito ai dossier messi insieme con le graticole e alle necessità della nuova struttura, potrebbe portare a un ripensamento della squadra di secondo livello del governo. A rischiare sarebbero in quattro: all’Agricoltura Alessandra Pesce, all’Ambiente Salvatore Micillo, allo Sviluppo economico Davide Crippa, ai Trasporti Michele Dell’Orco. Incerto pure il destino di Angelo Tofalo alla Difesa.