Poco prima che iniziasse la commemorazione per ricordare le 43 vittime del ponte Morandi crollato il 14 agosto 2018, alcuni parenti delle vittime si sono avvicinati al premier, Giuseppe Conte (applaudito, insieme al presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, al suo arrivo), per lamentarsi della presenza nel capannone dei vertici della società Autostrade fra i quali anche manager indagati, come l’amministratore delegato di Atlantia (ed ex di Aspi), Giovanni Castellucci. Da lì la decisione, di buon senso, da parte della delegazione di lasciare l’area della commemorazione. Ne è seguito un veloce conciliabolo e poco dopo tutte le delegazioni delle società hanno lasciato l’area della celebrazione.
A richiedere espressamente la presenza a Genova dei vertici di Autostrade e del gruppo Benetton era stato il sindaco di Genova nonché commissario straordinario Marco Bucci. Ma alla fine – e giustamente – ad avere l’ultima parola sono stati i familiari delle vittime che non hanno gradito quella sortita. Perché gran parte di loro si sentono abbandonati dalle istituzioni che, al di là degli annunci, hanno collezionato ritardi sul ponte e non hanno mantenuto fede all’impegno di revocare la concessione ad Autostrade per l’Italia, vista la crisi politica scoppiata per volere della Lega che, dopotutto, non ha espresso più di un dubbio sulla querelle revoca. E non a caso gli interventi di Luigi Di Maio e Matteo Salvini sono andati in direzione diverse.
Ma è nelle parole di Egle Possetti, portavoce del Comitato dei parenti delle vittime, che è ancora visibile tutta la rabbia dei familiari: “Per la loro memoria dobbiamo avere grande determinazione nella ricerca della verità perché quanto accaduto è inaccettabile. La loro è stata una condanna a morte senza possibilità di appello. Non possiamo accettare che eventi del genere possano accadere. Chiediamo ai nostri rappresentanti un segnale concreto affinché i cittadini possano sentirsi tutelati”. E ancora: “Nel nostro paese la parola principale sia prevenzione. Non devono esserci altri morti per stragi assurde”. E poi la chiosa finale, cui è seguito un lungo applauso: “Vogliamo giustizia. Se manca giustizia, uno Stato democratico non ha senso”, ha detto la presidente, che nel crollo perse la sorella Claudia, che morì insieme al marito e ai figli. “Quanto accaduto è inaccettabile. Per la loro memoria dobbiamo accertare la verità”. Concetti ribaditi, questi, da tutte le istituzioni presenti. Ma la città è stanca delle parole. Perché, come si leggeva su uno striscione, “Genova è ferita, non stupida”.
Simbolo dell’unità d’Italia, anche nelle avversità. Basta questo per capire la ragione per cui anche Genova ha trovato forza e nuova linfa nel capo dello Stato, Sergio Mattarella. Il presidente è stato accolto da un lungo applauso al suo arrivo e si è intrattenuto a lungo con i familiari delle vittime abbracciandoli e parlando con loro. Nel giorno della commemorazione delle 43 vittime del crollo del Ponte Morandi, “che tanti lutti, tante sofferenze e tante difficoltà ha creato alla operosa città di Genova e ai suoi abitanti”, il presidente della Repubblica aveva scritto un breve saluto sulle pagine del Secolo XIX. “Ci separa da quel tragico avvenimento un anno che non è trascorso invano”, scrive Mattarella.
“Il nuovo ponte sarà in grado di ricucire, anzi, per usare un termine caro a Piano (Renzo, ndr), di ‘rammendare’ la ferita inferta dal crollo, riconnettendo una città spezzata, non solo materialmente, in due”. Il nuovo ponte, infatti, “ricorderà per sempre quelle vittime innocenti, sepolte dalle macerie di una tragedia, causata dall’uomo, che si poteva e doveva evitare. Nulla può estinguere il dolore di chi ha perso un familiare”. Sullo stesso desiderio di riscatto e di giustizia si è mosso anche l’intervento di Giuseppe Conte. “Genova sarà il simbolo della rinascita dell’Italia. Lo dissi dall’inizio e stiamo lavorando per conseguire questo risultato”, ha detto il premier. Che poi ha aggiunto: “è un rilancio economico e sociale non solo di questa città, di questa regione, ma dell’Italia intera. Il nostro è un grande Paese”.
Presenti alla cerimonia anche i due vicepremier, Luigi Di Maio e Matteo Salvini. Tra i due ministri, con una lieve modifica al cerimoniale, si è seduto il sindaco e commissario per l’emergenza Marco Bucci. I due ministri non si sono rivolti la parola e non si sono scambiati il “gesto di pace” previsto dalla liturgia. E anche i loro interventi sono andati in direzioni diverse. “La sensibilità dei familiari prevale su tutto, qualunque sensazione, richiesta o più che giustificata rabbia di queste mamma e di questi papà è la mia”, ha detto Salvini specificando però che la magistratura accerterà eventuali responsabilità. Più diretto, invece, il leader pentastellato Di Maio: “Si sta commemorando questa tragedia perché qualcuno non ha fatto il suo dovere, non ha mantenuto un ponte che se mantenuto non avrebbe dovuto crollare. Dobbiamo assicurare che questo non accada mai più”.