di Sergio Patti
È stato bello, ma è durato poco. Il sogno di togliere l’Imu, già infranto venerdì scorso di fronte al no della Merkel ad ammorbidire i vincoli di bilancio europei, si è definitivamente spento ieri sera di fronte ai dati gelidi del ministero dell’Economia: ad aprile il fabbisogno statale è salito a 11 miliardi (era stato di 2,025 miliardi nello stesso mese dell’anno scorso). Tradotto: non c’è un euro per andare avanti senza una manovra urgente. Figuriamoci tagliare i quattro miliardi che costa l’Imu.
La tassa sulla casa, data in pasto al centrodestra come merce di scambio per far decollare il governo delle larghe intese, rischia di ritorcersi contro Palazzo Chigi, mettendo già seriamente in pericolo la prosecuzione dell’esecutivo. Tanto che Berlusconi ieri è tornato ad avvisare: se non si rispetterà l’accordo sull’abolizione dell’imposta, si va tutti a casa. Sarà una minaccia vera?
Nuovo buco nei conti
A mettere tutto in discussione sono una serie di spese straordinarie che hanno reso più traballanti che mai i nostri conti pubblici. L’aumento del fabbisogno del mese di aprile, ha spiegato il ministero di via XX settembre, è dipeso principalmente dalle maggiori erogazioni (1.700 milioni) per i rimborsi in conto fiscale e per l’anticipazione di alcuni pagamenti da parte delle amministrazioni centrali. Il mese registra, inoltre, il pagamento per la sottoscrizione del capitale Esm (European Stability Mechanism) per circa 2.800 milioni e il venir meno del riversamento per circa 5.500 milioni da parte degli enti soggetti alal tesoreria unica. Senza tutte queste spese, il fabbisogno sarebbe stato in linea con l’anno scorso. Ma visto che le spese ci sono, la situazione è precipitata. E dunque servono più soldi solo per andare avanti. Di nuove spese, compresa l’Imu, non si può proprio parlare.
Previsioni negative
I dati del ministero dell’economia sono arrivati ieri a tarda serata, dopo una giornata di tensione sulla tenuta dei conti pubblici per via del rapporto dell’Ocse. L’economia italiana nei prossimi mesi andrà molto peggio del previsto, è scritto nel report sull’Italia redatto dall’istituto transalpino. Il Pil tricolore scenderà dell’1,5% quest’anno e tornerà a crescere nel 2014 con un +0,5%. E la priorità, a detta dell’Ocse, resta sempre la stessa: una decisa riduzione del debito.
Previsioni “pesanti” proprio mentre l’Italia è in attesa di conoscere il suo destino rispetto alla procedura d’infrazione aperta dalla Commissione europea per il deficit eccessivo. Su questo è intervenuto il neo ministro delle Finanze Saccomanni, che in audizione sul Def davanti alle commissioni speciali di camera e Senato ha assicurato che “le stime dell’Ocse non hanno molta rilevanza” rispetto al deficit e “le stime della Commissione europea inducono a ritenere possibile la chiusura della procedura”. Si vede “la luce alla fine del tunnel”, ha replicato il segretario dell’Ocse Angel Gurria durante la conferenza stampa a palazzo Chigi dopo aver incontrato il presidente del Consiglio. “C’è uno sforzo enorme che deve consolidarsi – ha aggiunto – L’Italia ha un debito alto, ma deve trovare il modo di recuperare la crescita e migliorare le possibilità sociali per i giovani”.
Pioggia di critiche
Critica la Confcommercio. “Con le previsioni riviste al ribasso per l’anno in corso e con prospettive molto negative anche per il 2014, visto che una crescita dello 0,5% non sarebbe sufficiente a recuperare neppure un terzo di quanto perso nel solo 2013, l’Ocse certifica la gravità della crisi economica italiana. Pertanto, non si può escludere la necessità di ricorrere ad una manovra correttiva”. A sostenerlo, l’Ufficio Studi di Confcommercio, secondo cui “Per sottrarsi al circuito perverso più tasse-meno crescita è, dunque, opportuno sia accelerare sulla spending review sia riprendere in mano il dossier sulle dismissioni di asset pubblici.