Oltre 2mila euro persi in soli due anni. Questo è il conto per le pensioni di chi guadagna intorno ai 2mila euro netti e che si trova di fronte a una rivalutazione dell’assegno tagliata dal governo Meloni per due anni consecutivi. Il governo, insomma, fa cassa sui pensionati.
Il conto per chi guadagna sui 2mila euro mensili è pesante: sono 2.171 euro totali persi nei due anni di governo Meloni a causa del taglio delle indicizzazioni per l’adeguamento all’inflazione. Vuol dire rinunciare a 28mila euro in 20 anni di pensione.
I calcoli li ha fatti la Spi Cgil che si spinge anche oltre stimando i possibili effetti dell’idea del governo (inserita in manovra) di sostituire la rivalutazione delle pensioni attuale, basata sull’indice del costo della vita, con altri indici come il deflatore del Pil: così il pensionato si troverebbe a rinunciare ad altri 30mila euro.
Pensioni, quanto si perde con i tagli di Meloni
Il calcolo prende in considerazione diverse ipotesi, riguardanti assegni previdenziali di fascia media. Partiamo da una pensione di poco inferiore ai 1.800 euro netti: la perdita è di 201 euro nel 2023 e di 377 nel 2024, per un totale nel biennio di 578 euro e complessivamente, per tutto il periodo di pensionamento, tra i 6 e i 7mila euro.
Saliamo a poco più di 2mila euro netti: il taglio è di 793 euro nel 2023 e 1.378 nel 2024: il totale sale a 2.171 euro nel triennio e tra i 24mila e i 28mila complessivi. A 2.400 euro netti la decurtazione è di mille euro nel 2023 e poi 1.742 nel 2024: 2.743 euro a cui rinunciare in due anni, per un totale tra i 30 e i 36mila euro in base all’aspettativa di vita (va peggio alle donne, con più anni di vita davanti mediamente).
I risparmi e la nuova rivalutazione degli assegni pensionistici
La manovra dello scorso anno, nella relazione tecnica, conteneva una stima dei risparmi per lo Stato con la nuova rivalutazione tagliata: parliamo di 37 miliardi di spesa in meno tra il 2023 e il 2032. Poi si attendono, entro il 2043, altri 21 miliardi dal nuovo taglio retroattivo alle pensioni dei lavoratori pubblici (come i medici), su cui però sono probabili modifiche e un netto passo indietro.
C’è poi il cambio dell’indice per la rivalutazione, su cui anche l’Ufficio parlamentare di bilancio ha già espresso dubbi. Il cambio dovrebbe partire dal primo gennaio del 2027 e per definirlo ci sarà una commissione di esperti.
Una prima ipotesi è già contenuta in manovra e considera l’uso del deflatore del Pil, che “assicura maggiore sostenibilità ai conti”, secondo il ministro dell’Economia, Giancarlo Giorgetti. Ovvero altri tagli agli assegni. Infatti, sottolinea l’Upb, il deflatore del Pil e l’indice del costo della vita hanno andamenti simili, ma non in situazioni di crisi, quando il primo è più stabile e ha meno picchi.
Per esempio con la crisi energetica il costo della vita è aumentato dell’8,1%, ma il deflatore del Pil è cresciuto solamente del 3%. Il rischio, evidente, è di intaccare in questo modo il potere d’acquisto dei pensionati, soprattutto per quelli con i redditi più bassi.