“Purtroppo abbiamo persone inadeguate a capire cosa bisognerebbe fare per risolvere i problemi che ci troviamo di fronte”. Non usa mezze parole Ermete Realacci, uno dei volti più noti dell’ambientalismo italiano, a lungo presidente di Legambiente, tra i fondatori del Kyoto Club, ex parlamentare italiano e oggi a capo (nonché fondatore, anche in questo caso) dell’associazione Symbola.
“Partiamo da un presupposto – ci dice – Quello che drammaticamente stiamo vedendo in Emilia Romagna è figlio di varie cause, ma la principale è senza ombra di dubbio il cambiamento climatico in atto da anni. Purtroppo il problema è anche di narrazione: a fronte di migliaia di ricercatori e osservatori che sono concordi su quest’aspetto, ci sono sempre dieci persone che vanno in televisione a dire che il cambiamento climatico non c’entra o non è la ragione principale. Penso a Feltri, tanto per dire, che ogni due per tre dice che piove e che dunque il problema della siccità non esiste”.
E invece a quanto pare esiste.
Io prendo sempre a riferimento un dato, forse il più evidente: l’andamento dei ghiacciai, il vero termometro del cambiamento climatico. Da alcuni decenni abbiamo perso il 30-40% dei nostri ghiacciai e ci sono molti ricercatori concordi nel fatto che tra qualche anno alcuni di questi scompariranno definitivamente. C’è un’espressione che ha un che di romantico: i ghiacciai “ingrigiscono”. È questa l’espressione che si utilizza quando i ghiacciai appunto si ritirano e restano solo lastre grigie rispetto alla brillantezza e alla lucentezza delle lastre ghiacciate.
Eppure ci troviamo alle solite: non si parla mai o quasi mai di ambiente e poi ci ritroviamo a parlarne a raffica in situazioni emergenziali.
È assolutamente vero. Non si ragiona sul fatto che quello climatico è il problema prioritario del nostro tempo, responsabile anche delle migrazioni. Le faccio l’esempio del lago del Ciad. Fino a qualche tempo fa era un lago di 25mila km quadrati, più grande dunque di tutta la Lombardia; ora invece è vasto meno di 2mila km quadrati, più piccolo della Valle d’Aosta. Ci sono ben 4 Paesi che si affacciano sul lago del Ciad. Parliamo di circa un milione di abitanti. È ovvio che senza il lago molte persone si impoveriscono e le crisi si acuiscono. Non è un caso che Boko Haram sia forte e predominante specie nelle zone che si affacciano sul lago. Ed è anche da qui che nascono le migrazioni.
E l’Italia sul fronte della lotta al cambiamento climatico com’è messa?
Urgono assolutamente politiche differenti, ma le responsabilità non nascono ora con questo governo. Si sono accumulate in anni di errori e negligenze. E la cosa più paradossale è che abbiamo una classe imprenditoriale decisamente più illuminata della nostra classe politica. Con Symbola realizziamo report a riguardo ed è emerso – tanto per fare un esempio su tutti – che il 40% circa del settore manifatturiero investe su sostenibilità e innovazione. E sa perché? Perché significa incrementare i guadagni. Un pezzo della politica, invece, non capisce la forza di questa economia verde. Le faccio un ulteriore esempio: la più grande acciaieria d’Italia si trova a Ghedi, in provincia di Brescia. Qui la proprietà è riuscita ad azzerare le emissioni. Non solo: aveva deciso di investire 130 milioni per pannelli fotovoltaici; poi ha alzato l’investimento a 300 milioni. Sono soldi di un privato. Ma sa perché l’ha fatto? Perché ha capito che conviene, che solo così si può essere più liberi, indipendenti e svincolati magari da energie che vengono importate.
E la politica invece?
La politica dinanzi a queste tematiche preferisce darne una chiave negativa. E così anche quando l’Europa propone scelte giuste, vengono presentate come diktat, al suon di “ce lo chiede l’Europa”. E invece penso a Next Generation ma anche ai fondi strutturali: le tre parole-chiave sono coesione, transizione verde, digitale. Come si può non essere d’accordo con questo iter e con questi princìpi? L’Ue, a differenza delle istituzioni italiane, si dimostra più intelligente perché cerca di condizionare l’economia su un terreno in cui l’Europa stessa è forte perché disponiamo di capacità, creatività e risorse naturali per produrre ricchezza partendo, appunto, da coesione, verde e digitale. Credo che questo salto sia stato compreso a dovere dall’imprenditoria italiana, non dalla politica italiana.
Qual è il suo giudizio sulla politica green del governo Meloni allora?
Negativa. Basti pensare alle reazioni scomposte che il governo ha avuto in merito alla posizione dell’Unione europea relativa alla riduzione del consumo energetico delle abitazioni. C’è chi addirittura ha parlato di patrimoniale mascherata. O, ancora, al tema del 110%: io credo sicuramente che la norma non è stato fatta bene, ma la misura in sé è assolutamente giusta e coerente con quello che chiede l’Ue. Attaccarla significa non aver compreso le potenzialità anche lavorative derivanti da quel provvedimento.
Sul fronte della transizione ecologica è curiosa la posizione del governo. Penso alle auto elettriche: la Meloni ha detto che l’elettrico non è la panacea a tutti i mali perché alcuni componenti sono dannosi per l’ambiente.
Ecco il punto. È sicuramente vero che non tutti i mezzi di trasporto saranno elettrici, penso agli aerei o alle grandi navi. Ma è altrettanto vero che non capire che questa è la direzione da seguire significa avere i paraocchi. Mi ricordo di quando facevamo le battaglie per le marmitte catalitiche. Allo stesso modo si diceva che spingere su queste sarebbe stato un errore perché non erano la soluzione a tutti i mali. Alla fine com’è andata? Sono diventate obbligatorie e noi abbiamo dovuto importarle dalla Germania. Temo che con le auto elettriche, vista la cecità della politica, accadrà la stessa cosa.