L’Europa inaugura un nuovo capitolo nella sua saga di complicità con la Libia, questa volta sotto forma di un centro di formazione per guardie di frontiera a Sabrata. Un gioiellino da esibire come trofeo della “cooperazione” italo-libica, frutto avvelenato del programma europeo Sibmmil. Il progetto fa parte del programma europeo “Sibmmil” (Support for Integrated Border and Migration Management in Libya), ed è stato annunciato dall’ambasciatore dell’Ue in Libia, Nicola Orlando.
Solo che mentre l’ambasciatore cinguetta festoso su X della partnership con la Libia “nel rispetto dei diritti umani”, la realtà sul terreno racconta una storia ben diversa. Il progetto Sibmmil, con i suoi 60 milioni di euro stanziati dal 2017, non è altro che l’ennesimo tentativo di esternalizzare le frontiere europee, scaricando sulla Libia il contenimento dei flussi migratori.
Libia, la cooperazione paravento dei diritti umani
Ma chi sono questi “eccezionali ufficiali libici” che, secondo Orlando, “potranno salvare vite”? Sono gli stessi che la missione europea Irini, nel gennaio 2022, ha accusato di “uso eccessivo della forza”. O forse sono quelli che, stando alle parole di un portavoce della Commissione europea nel marzo 2023, hanno “sostanzialmente ignorato gli addestramenti finora impartiti”.
Il centro di Sabrata si erge come monumento all’ipocrisia di un’Europa che predica diritti umani ma pratica respingimenti per procura. L’Italia, capofila di questa strategia dal Memorandum del 2017, continua imperterrita sulla strada tracciata da Minniti, incurante delle denunce delle Ong e delle sentenze della Cassazione che definiscono la Libia un paese non sicuro.
I numeri cantano: 30.147 migranti arrivati in Italia dalla Libia nei primi nove mesi del 2024. Un calo del 17,81% rispetto al 2023 che il governo italiano sbandiera come un successo. Ma a quale prezzo? Quanti sono stati intercettati e riportati nell’inferno libico? Quanti hanno subito torture nei famigerati centri di detenzione che l’Europa finge di non vedere?
L’OIM conta 761.322 migranti in Libia tra giugno e luglio 2024, con un aumento del 5% dovuto principalmente all’arrivo di sudanesi in fuga dalla guerra. Ma invece di affrontare le cause profonde delle migrazioni, l’Italia preferisce addestrare guardie di frontiera in un paese frammentato, dove l’autorità del governo di Tripoli è più nominale che effettiva.
Il prezzo del ‘successo’ sull’altare delle statistiche
Il progetto dell’MRCC di Tripoli, il centro di coordinamento per il soccorso marittimo, è l’ennesima chimera inseguita dal 2017. Promesso, rimandato, mai realizzato. Eppure si continua a investire in questa farsa, ignorando le testimonianze delle Ong che denunciano l’aggressività e la scorrettezza della Guardia costiera libica nelle operazioni di “salvataggio”.
Mentre ci si vanta di formare le guardie libiche sui diritti umani si chiudono gli occhi sulle difficoltà di accesso ai servizi essenziali per i migranti, soprattutto in regioni remote come Al Kufra. Si parla di lotta ai trafficanti ma si alimenta semplicemente un sistema che li rende sempre più ingegnosi, come dimostra il recente caso del convoglio camuffato da corteo nuziale.
L’inaugurazione del centro di Sabrata non è un passo avanti, è l’ennesimo chiodo nella bara dei diritti umani nel Mediterraneo. È la prova tangibile di come non investire in una seria politica migratoria.
Mentre si tagliano nastri e si fanno foto di rito – anche se molto sottovoce rispetto a qualche tempo fa – migliaia di persone continuano a rischiare la vita in mare o a subire violenze indicibili in territorio libico. Ma finché i numeri degli sbarchi calano, tutto va bene. L’importante è che il problema resti al di là del mare, fuori dalla vista e dalla coscienza dell’Europa. Questa è la vera natura del “pilastro della partnership con l’Ue”: un monumento all’indifferenza, costruito sulle fondamenta della sofferenza umana.