di Angelo Perfetti
Apparentemente sono su posizioni diametralmente opposte, su pianeti diversi, su mondi paralleli. Da una parte Berlusconi, il perseguitato, il martire, il leader di un partito al quale ha votato la propria esistenza e che ha provato a combattere il comunismo per realizzare un Paese liberale. Dall’altra Grillo il rivoluzionario, l’antisistema (per non dire l’anticristo), quello che vede nella figura del Cavaliere l’impersonificazione del male assoluto, politico s’intende, che ha portato allo sfascio di questa Repubblica, all’imbarbarimento dei costumi, al nulla internazionale. Eppure entrambi hanno in qualche modo dettato una priorità che coincide: la riforma della Giustizia. Napolitano si è affrettato a dichiarare “ritengo ed auspico che possano ora aprirsi condizioni più favorevoli per l’esame, in Parlamento, di quei problemi relativi all’amministrazione della giustizia”. Grillo non vuole che il progetto sia esaminato da un Parlamento al cui interno c’è un condannato, cioè il Cavaliere (che, per la verità, non è certo l’unico ad avere problemi con la giustizia). Berlusconi preferirebbe affrontarlo con un Parlamento del quale abbia la maggioranza assoluta, senza sottostare ai veti degli alleati-nemici del centrosinistra e dei nemici-e-basta del Movimento 5 Stelle. Lo stallo sarà superato di slancio – immaginiamo – da uno degli ormai famosi tweet del premier Letta, nel quale dichiarerà di aver risolto il problema calendarizzando i lavori; cioè rinviando la questione a data da destinarsi. Ricapitolando: la sentenza c’è stata, ma il Cav resta. La riforma si farà, ma non si sa se prima o dopo le elezioni. L’Anm grida allo scandalo per i commenti caustici del centrodestra, il Pdl grida allo scandalo per l’ennesimo colpo alla democrazia, il Pd grida allo scandalo per la strumentalizzazione politica sulle “giuste decisioni” dei giudici, Grillo grida… E poi c’è chi dice che Tomasi di Lampedusa è superato.