Con Pasqua alle porte cresce l’assalto allo straordinario patrimonio culturale e paesaggistico italiano, con moltissimi visitatori – soprattutto stranieri – disposti a spendere ben più di quanto costino i biglietti per accedere ai nostri musei. Così riparte il dibattito: qualche euro in più sugli importi stabiliti in Italia per le mostre e i palazzi storici – mediamente più a buon mercato rispetto all’estero – può fare la differenza?
Sulla cultura non si fa cassa. Ecco perché l’incremento dei prezzi dei biglietti dei musei risulta così indigesto
Per chi ha preso un volo dagli Stati Uniti o da una capitale europea certamente no, ma per molto altri sì. La visione ideologica dell’arte che parte dal condivisibile assunto che questa sia un bene dal carattere universale, non dunque appannaggio di una élite, è chiamata a fare i conti – su input del ministro Gennaro Sangiuliano (nella foto), che propone l’incremento dei costi per i biglietti museali – con la gestione economica, in termini innanzitutto di tutela, che una simile “ricchezza” richiede.
Così come sarebbe richiesto un investimento cospicuo destinato alla formazione delle risorse professionali che operano nel settore e che meritano, anche dal punto di vista dei diritti contrattuali, le tutele necessarie.
Commentando il rincaro di ben cinque euro del biglietto degli Uffizi, Sangiuliano non ha esitato a citare altri Paesi europei – fatta eccezione per la Gran Bretagna – dove si paga molto e che a suo dire andrebbero presi a modello, perché “sono molti quelli che possono permetterselo”. Ma è questo il punto debole dell’argomentazione del ministro, perché se può essere “giusto” che i biglietti costino di più – la qual cosa è devastante unita a tutti gli altri rincari che siamo costretti a subire – è altrettanto doveroso promuovere, o perlomeno non smantellare, misure ad hoc che salvaguardino l’accesso egualitario alla cultura di tutti.
Nessuna misura per avvicinare alla cultura i giovani e le famiglie più fragili
La classe media e le famiglie più fragili che fine fanno? Sono infatti i grandi invisibili di questa operazione. Nell’ultima legge di bilancio il governo Meloni ha stanziato una somma irrisoria – solo 20 milioni – spacchettando la 18App. Se da una parte è vero che agevolazioni e bonus sono discutibili in presenza della necessità di operazioni strutturali è altrettanto vero che questi strumenti hanno incentivato la fruizione culturale dei giovani, e che la cosa peggiore che possa fare un governo è far cassa proprio sul libero accesso a quel processo di emancipazione dettato da scelte libere nella dimensione culturale.
Il percorso di revisione del bonus la dice lunga sulle politiche culturali del governo e su quanto queste siano drammaticamente subordinate al dato che economico al pari di qualsiasi altro bene di consumo. Ricordate la tristemente celebre “di cultura non si mangia?”. Ecco, il rovescio dovrebbe essere “sulla cultura non si fa cassa”. È alla luce di questo che l’incremento dei prezzi dei biglietti risulta indigesto, quando pure il suo obiettivo poteva essere giustificato.