Domenico De Masi, tra i più accreditati sociologi del Lavoro in Italia, tutti i programmi elettorali dei partiti hanno un capitolo dedicato al Welfare. Quale la sua opinione in merito?
“Si rende necessaria un premessa. La vera distinzione che si è andata consolidando in questi anni è stata tra neoliberisti e socialdemocratici. Il neoliberismo, dagli anni 80 in poi, ha stravinto con le sue privatizzazioni, con la sua politica economica basata sulla precarizzazione di masse sempre più vaste, dando la precedenza al profitto, agli azionisti, alla concorrenza, alla diffusione del rischio e della precarietà, appunto. Dall’altra la visione socialdemocratica è debolissima. Perché si sono spostati sempre più a destra i partiti che erano a sinistra. Se noi partissimo dalla grandissima campagna elettorale del 1948, potremmo verificare che a quelle elezioni si presentarono tre grandi partiti di sinistra – il Pci di Togliatti, il Psi di Nenni, il Psdi di Saragat – e a destra il vuoto, con un piccolo partito monarchico e un nascente partito neofascista ma si trattava di formazioni molto marginali. Oggi a 74 anni di distanza è l’opposto: ci sono tre grandi partiti di destra e nessun partito di sinistra. Il Pd dice di esserlo ma non lo è , il M5S lo è ma non lo dice. C’è un enorme vuoto a sinistra e questo si traduce in politiche economiche per le classi disagiate molto deboli se non controproducenti. La posizione di Matteo Renzi è significativa. Renzi è stato il premier neoliberista che ha distrutto l’articolo 18, che ha smantellato lo Statuto dei lavoratori. La verità è che la situazione dei poveri è debolissima e si ritrova in maniera embrionale solo nel programma del M5S, negli altri programmi è marginale, se non assente. Le parole d’ordine del Movimento oggi sono quelle più di sinistra. Tutte le altre sono infarcite di neoliberismo spinto”.
Perché l’accanimento contro il Reddito di cittadinanza?
“Questo accanimento si spiega col fatto che il neoliberismo si è sempre interessato alla classe dominante, dando per scontato che le disuguaglianze sono inevitabili. Ha badato a tenere sotto controllo solo la ricchezza dei ricchi. Come ha detto Warren Buffett la lotta di classe esiste, siamo noi ricchi che la stiamo facendo e la stiamo vincendo”.
Perché è sbagliato sostenere che l’abolizione del Reddito di cittadinanza creerebbe posti di lavoro?
“Le rispondo con un caso emblematico. Mi trovo a Ravello. Ci sono 12 paesi della costiera amalfitana che campano di turismo e che scontano una carenza assoluta di personale. Ebbene, ovunque in tutta la costiera solo 4 sono i percettori del Reddito di cittadinanza”.
Quali gli effetti della vittoria della destra sul nostro Welfare?
“La vittoria della destra tra i lati negativi ha un aspetto positivo: riporta in primo piano la politica. Noi a partire dal 26 settembre avremo un quadro politico rivoluzionato. Partiti che negli ultimi 20 anni sono sempre stati al Governo si troveranno all’opposizione e probabilmente non la sapranno fare. Ma questa è un’occasione per la sinistra per una sua rifondazione completa. Che finora è stata resa difficile dal voler tenere il piede in due staffe. Voler fare da una parte i governativi, dall’altra i contestatori. La funzione governativa è mal riuscita. Gli ultimi Governi lasciano un’Italia molto più divisa tra ricchi e poveri. Durante i mesi del Governo Draghi sono aumentati di 570 mila unità i poveri assoluti. A cui si aggiungono i poveri relativi. C’è una compagine di almeno di 14 milioni di italiani che non hanno una rappresentanza politica. L’ultimo partito a farsi carico dei poveri è stato il Pci di Berlinguer. Ora ci stanno provando i Cinque Stelle”.
Il leader del M5S ha definito l’agenda di Draghi “modesta”: su salario minimo e precarietà non c’è nessuna risposta.
“Mario Draghi è un neoliberista, non attento ai problemi della sinistra. Avevo previsto che durante il suo Governo ci avrebbe rimesso la classe del proletariato e del sottoproletariato che infatti si è gonfiata. Ma, sebbene le classi ricche si siano arricchite ancora di più, ci ritroviamo con un Paese nel suo complesso molto più stanco, meno pronto a una seria rinascita economica condotta nel rispetto della giustizia e della uguaglianza. Il successo che sta avendo Conte ora è dovuto per intero al fatto che sia meno a destra degli altri, che si stia collocando alla sinistra del Pd”.
Conte ha anche proposto la riduzione dell’orario di lavoro a parità salariale.
“Vedo con grande soddisfazione che i miei cavalli di battaglia da un punto di vista teorico sono stati fatti propri dal M5S. Riduzione dell’orario di lavoro, salario minimo, reddito di cittadinanza sono parole d’ordine del Movimento che finora corrispondono certamente a un welfare abbozzato che però può essere sviluppato per permettere al M5S negli anni successivi di diventare una forza di sinistra seria, compatta, preparata”.
Come giudica gli interventi che sono stati fatti ultimamente in materia di lavoro?
“Gli anni in cui ai vertici del Pd e del Governo c’è stato Renzi c’è stata una vera rottamazione delle politiche del lavoro. Il Jobs act distribuisce miliardi alle imprese in cambio di un esiguo numero di posti di lavoro quasi sempre precari, con poche garanzie”.
Enrico Letta ha dichiarato di voler archiviare il Jobs act.
“La Confindustria glielo farebbe fare? Ma poi va considerato che Letta ha fatto propria l’agenda Draghi. Aver assunto come suo alfiere un uomo neoliberista è una svista terribile che ora il Pd sta pagando. Ha fatto mille rivoluzioni interne, una grossa campagna di mobilitazione delle periferie del partito, ma il risultato da punto di vista della resa elettorale per i dem è irrisorio”.
Ritorniamo alla vecchia questione: ha fatto bene Letta a rompere con i Cinque Stelle?
“Di certo ha fatto un grande favore ai 5 Stelle che ne escono molto più chiari, più netti e che appaiono più a sinistra che se fossero stati insieme al Pd. Lo stesso Nicola Fratoianni che avevo votato ma non voterò, perché è come portare acqua al Pd infarcito di neoliberismo, ha tradito la sua vocazione di sinistra alleandosi con i dem. Vocazione che aveva invece mantenuto con il coraggio di non entrare nel Governo Draghi. La politica economica di Letta è molto confusa, non certo di sinistra, non dispiace a Confindustria. Vuole tenere assieme Susanna Camusso e Carlo Cottarelli che è un neoliberista. Affidare a Cottarelli la politica economica è operazione distonica, difficile da capire. Camusso e Cottarelli sono portatori di idee opposte”.