Gli schieramenti per il match che si giocherà oggi a Palazzo Chigi sul salario minimo sono pronti. Ma l’esito della partita sembra già scritto. A 48 ore dall’incontro Giorgia Meloni ha stroncato il salario minimo delle opposizioni definendolo controproducente in quanto rischierebbe di livellare i salari verso il basso. Sebbene quattro anni fa, come dimostra la proposta di legge presentata dall’allora deputato di FdI e oggi presidente della Commissione lavoro Walter Rizzetto, FdI non la pensasse così, anzi era sulle stesse posizioni del M5S.
L’esecutivo non ha proposte alternative sul Salario minimo. Si limiterà a rilanciare i dubbi della Cisl con cui gioca di sponda
Nonostante l’ultima bocciatura della premier l’incontro ci sarà ma alla vigilia i nervi sono tesi, tesissimi. “è una strada in salita perché abbiamo una premier che ha anticipato che il salario minimo è uno slogan e ha detto anche una falsità che dimostra che non ha letto una riga della nostra proposta” dice il leader del M5S, Giuseppe Conte. “Speriamo che il tutto non si trasformi in una sterile passerella mediatica”, aggiunge l’ex ministra del Lavoro, Nunzia Catalfo.
Sul tavolo di Palazzo Chigi le opposizioni troveranno documenti, idee, un’analisi del mercato del lavoro e dei salari, ma non un piano confezionato, non una proposta compiuta. La maggioranza e il governo ci starebbero lavorando per presentarla alla ripresa dei lavori parlamentari. Ci sarebbe collaborazione in atto soprattutto con la Cisl. La ricetta rimane quella di estendere e rafforzare la contrattazione collettiva. La Cisl propone una norma “leggera” di sostegno ai buoni contratti collettivi nazionali. La soluzione, ribadita più volte dal segretario generale Luigi Sbarra, sta nell’estensione, settore per settore, del trattamento economico complessivo dei contratti nazionali maggiormente diffusi e applicati.
La questione dei bassi salari e del lavoro povero, secondo il sindacato di via Po, è un’emergenza nazionale da affrontare “senza demagogie” per arrivare a un salario dignitoso, rigorosamente di natura contrattuale. Un salario minimo con un valore orario indifferenziato stabilito dallo Stato porterebbe, secondo la Cisl, a un aumento del lavoro nero e sommerso, a uno schiacciamento verso il basso delle retribuzioni medie e all’uscita dalle tutele dei contratti nazionali di migliaia di imprese. Ed è questo che più o meno Meloni dirà oggi ai leader delle opposizioni. E punterà a dirottare il confronto sull’estensione della contrattazione e del welfare aziendale, sulla riforma del cuneo fiscale con dieci miliardi disponibili in vista della legge di Bilancio, sul rinnovo dei contratti.
Ma adeguare i salari non coperti da contratto collettivo a quello previsto dal contratto nazionale leader per il settore di riferimento, che è poi la proposta presentata da Forza Italia, non basta. Molti contratti leader hanno soglie salariali inferiori ai nove euro. Meloni, dopo la sparata di mercoledì, ieri ha scelto di stare in silenzio. Le opposizioni, compreso Carlo Calenda, non dovrebbero spaccarsi sui 9 euro l’ora ma Azione mette in guardia il Pd da non infilare sul tavolo materie estranee al cuore dell’incontro ovvero il caso De Angelis e i fondi alluvione fermi al palo.
Copia e incolla dai 5 Stelle. Il testo Rizzetto imbarazza FdI
Si fa fatica a crederci, leggendola, ma la proposta di legge n.1542, presentata il 28 gennaio 2019, reca proprio la firma di Walter Rizzetto, allora deputato di FdI e che oggi, da presidente della commissione Lavoro di Montecitorio, sta osteggiando la proposta delle opposizioni, in linea con il no della sua leader di partito e premier, sull’introduzione di una soglia minima di garanzia salariale. Già il 19 luglio a ricordare a Rizzetto, con un passato peraltro nel M5S prima di convertirsi al verbo meloniano, di aver cambiato idea sul salario minimo era stato il leader dei pentastellati, Giuseppe Conte.
Nel 2014 Rizzetto infatti sottoscrisse la proposta Pesco (M5S) sul salario minimo. Ma c’è di più e il di più è appunto la proposta di legge presentata da Rizzetto nel 2019, in veste di deputato di FdI, e intitolata “Istituzione del salario minimo orario nazionale”. A quel tempo presidente del Consiglio era proprio Conte. In quel testo si giustifica l’introduzione di una soglia minima salariale, pur affidando ad una Commissione il compito di individuare l’importo, con argomentazioni che in toto ricalcano quelli dei suoi ex compagni di viaggio grillini ora condivisi dagli altri partiti di opposizione.
Il deputato meloniano partiva dalla considerazione che l’articolo 36 della Costituzione stabilisce espressamente che “il lavoratore ha diritto ad una retribuzione proporzionata alla quantità e qualità del suo lavoro e in ogni caso sufficiente ad assicurare a sé e alla famiglia un’esistenza libera e dignitosa”. Proprio quello a cui si aggrappano le opposizioni nella loro battaglia contro il lavoro povero. E prevedeva “il salario minimo orario nazionale da corrispondere a tutte le categorie di lavoratori e di lavoratrici per i quali la retribuzione minima non sia individuata dai contratti collettivi nazionali di lavoro (Ccnl) ovvero qualora tali contratti stabiliscano un corrispettivo minimo orario inferiore”.
La legge dell’ex M5S risale al 2019. Ma allora escludeva il rischio di livellare gli stipendi in basso come sostiene adesso
Il salario minimo orario nazionale, si legge ancora in quella pdl, “non trova applicazione qualora esso sia inferiore ai minimi retributivi previsti dai Ccnl”. Mentre “i Ccnl che prevedono importi salariali inferiori al salario minimo orario nazionale sono sottoposti a nuova contrattazione al fine di adeguarli al medesimo salario”. E se ora il governo, ovvero la Meloni, si appoggia alle argomentazioni della Cisl per dire no al salario minimo, a suo tempo Rizzetto sosteneva che “non si ritiene condivisibile la tesi espressa da alcune organizzazioni sindacali, le quali affermano che l’istituto in questione avrebbe effetti negativi, poiché porrebbe le basi per una diminuzione dei salari nel medio termine. Riconoscere un salario minimo, invece, è un provvedimento necessario per sostenere i lavoratori più marginali e riconoscere il lavoro come strumento di dignità, in coerenza con i fondamentali princìpi della Repubblica”.
Oggi il deputato meloniano si rimangia tutto e alla vigilia del vertice a Palazzo Chigi scrive in una nota che “un salario minimo applicato erga omnes per legge potrebbe paradossalmente creare dei problemi e da parte datoriale alcuni potrebbero abbandonare i risultati raggiunti dalla contrattazione ed applicare, a ribasso, una legge”. Ma tanto la sua proposta quanto quella delle opposizioni stabilivano le condizioni perché così non fosse. Ancora “un dettaglio”.
Rizzetto si spingeva fino a prevedere sanzioni – da euro 60.000 a euro 120.000 – al datore di lavoro che corrispondeva al lavoratore una retribuzione oraria inferiore al salario minimo orario nazionale. E per i recidivi veniva esclusa la possibilità di partecipare alle gare d’appalto pubbliche per tre anni dalla data in cui la reiterazione è stata accertata.