Tempo scaduto. Almeno simbolicamente, perché la battaglia sul salario minimo delle opposizioni di certo non terminerà qui. Ma intanto la certezza è che il governo italiano non ha rispettato i termini per recepire la direttiva europea sul salario minimo. La scadenza era fissata per ieri: era l’ultimo giorno a disposizione per fissare una soglia minima, come i 9 euro l’ora proposti dalle opposizioni, oppure per raggiungere lo stesso obiettivo attraverso la contrattazione collettiva. Ma il governo non ha fatto nulla. Va detto, non da solo in Ue, come evidenzia Adapt: sono stati 12 i Paesi che non hanno fatto nulla. E c’è anche chi, come Svezia e Danimarca, ha chiesto di annullare la direttiva. C’è anche chi, come la Germania, ha integrato le sue leggi o chi ha recepito la direttiva, dalla Romania all’Ungheria.
Salario minimo, in Italia un nulla di fatto
Quando le opposizioni hanno incalzato la maggioranza sul salario minimo, la risposta era sempre la stessa: c’è tempo. E c’era, in effetti, fino al 15 novembre 2024. Ma ora questo termine è scaduto e non è arrivata neanche una proposta concreta: è tutto fermo al dicembre del 2023. La commissione Lavoro della Camera ha soppresso il testo delle opposizioni che prevedeva un salario minimo da 9 euro l’ora, delegando al governo l’intervento sull’equa retribuzione e sul controllo contro i contratti pirata.
Ora la proposta è ferma in commissione Lavoro al Senato, ma lo stallo è totale. La maggioranza continua a rinviare, sostenendo che l’Italia non è inadempiente perché la copertura della contrattazione collettiva supera il 70%, per quanto difficile da conteggiare realmente. Le opposizioni tornano all’attacco del governo, chiedendo spiegazioni sul perché l’Italia non abbia recepito la direttiva che ieri è entrata in vigore in tutta Europa.
I capigruppo di opposizione nella commissione Lavoro della Camera, Arturo Scotto (Pd), Valentina Barzotti (M5S), Franco Mari (Avs) e Antonio D’Alessio (Azione) ricordano come il governo si sia limitato “a bocciare la proposta di legge unitaria delle opposizioni sostenendo che per loro conta solo la contrattazione collettiva che va rafforzata. Soltanto che non hanno fatto nulla in questo anno e mezzo per intensificarla, al contrario hanno ritardato persino l’applicazione della delega che avevano dato al Governo che è tuttora bloccata al Senato”. “Persino sulla contrattazione collettiva – proseguono – i dati ci raccontano di una crescita dei contratti pirata e dell’assenza della contrattazione decentrata in tantissimi settori produttivi. Insomma, la ministra Marina Calderone non è pervenuta: brilla per assenza di iniziativa”.
Chi non demorde è il senatore di Avs, Tino Magni, ricordando che “la discussione non è finita” e la richiesta “continua”. “Al Senato in commissione – sottolinea – è iniziata la discussione della proposta unitaria delle opposizioni, a mia prima firma, proprio sul salario minimo. Ora basta tentennamenti, bisogna ridurre le diseguaglianze retributive”.