Mentre nell’Aula del Senato la votazione degli emendamenti sul premierato va avanti tra polemiche, assenza del numero legale e forzature da parte della maggioranza per soffocare l’esame parlamentare, sulla madre di tutte le riforme, come ama definirla Giorgia Meloni, arrivano le punzecchiature della Cei e del Capo dello Stato.
Le perplessità della Cei sul premierato. Il Colle esalta la nostra Costituzione
Non c’è solo l’Autonomia leghista a preoccupare la Cei che oggi renderà noto un documento. Ma anche il premierato. “Quando si toccano gli equilibri istituzionali” è necessaria “molta attenzione”, ha detto il cardinale Matteo Zuppi. “A mio parere occorre molto spirito della Costituzione: non è un problema di lettera ma di capacità di pensare qualcosa che non sia contingente e che non sia di parte”.
E poi il Capo dello Stato. “Mi sia permesso di unire al mio ricordo la citazione al discorso che fece il presidente Goria in occasione dell’anniversario dei quarant’anni dall’entrata in vigore della Costituzione e che rappresenta, a mio avviso, uno dei suoi messaggi di grande significato. Quelli che, talvolta, venivano indicati come punti di debolezza rappresentavano – a giudizio di Goria – punti di forza, tanto da affermare: ‘Questa non è solo la Costituzione del nostro passato, ma anche quella del nostro futuro’”, ha detto Sergio Mattarella alla cerimonia del trentesimo anniversario della morte di Giovanni Goria.
Ovviamente il presidente della Repubblica si guarda bene dal citare il premierato ma aver ribadito la sacralità della nostra Costituzione è un messaggio che solo chi non vuol capire può lasciar cadere nel vuoto.
I trucchetti della maggioranza
Parlavamo delle forzature da parte della maggioranza. La mattinata a Palazzo Madama era cominciata male per il governo dal momento che era mancato il numero legale. Poi la Conferenza dei capigruppo che ha registrato l’assenza di un accordo tra maggioranza e opposizione sui tempi di esame della riforma.
E la riunione si è conclusa con la decisione del centrodestra di contingentare i tempi di esame per complessive 30 ore di discussione. Questa tempistica condurrebbe ad un voto finale del Senato il 18 giugno.
Il giorno prima, il presidente del Senato Ignazio La Russa aveva applicato due volte la cosiddetta regola del “canguro” – che consente con un solo voto di cassare diversi emendamenti analoghi – ed aveva anche annunciato che si riservava di dichiarare inammissibili per estraneità di materia altri emendamenti.
Ma al termine della seduta le proposte emendative votate o saltate erano state poche: solo 43, l’1,5% di quelle totali. E anche il giorno dopo, ovvero ieri, con il canguro sono stati votati solo un’altra manciata di emendamenti.
Di qui la preoccupazione, specie in FdI. “Anche se applichiamo tutti i canguri possibili, rimarrebbero 1.500 emendamenti”, aveva confidato ai cronisti il relatore Alberto Balboni. Di qui la forzatura decisa di un contingentamento dei tempi.
Le opposizioni promettono battaglia
Il M5S la definisce “sbagliata”. “La maggioranza ha deciso di contingentare il tempo della discussione su una riforma costituzionale che stravolge la nostra Costituzione, che crea un mostro e un unicum nei Paesi democratici occidentali con l’elezione diretta di un presidente del Consiglio e che stravolge i poteri del presidente della Repubblica, senza dirci peraltro come eleggerà il presidente del Consiglio, contingentando in 30 ore il resto della discussione su questo provvedimento”, ha detto il presidente dei senatori M5S, Stefano Patuanelli.
“Una forzatura incomprensibile e gravissima che non può che indurre il Partito democratico ad una opposizione ancora più determinata in Parlamento e nel Paese”, dichiara il senatore Andrea Giorgis, capogruppo Pd in commissione Affari costituzionali.