Ormai con i bagagli in mano, pronto a cedere il testimone a Ursula von der Leyen, Jean-Claude Juncker affronta uno dei temi più spinosi per i Paesi europei, quello dell’immigrazione. E lo fa provando ad autoassolversi dai grandi fallimenti dell’Europa, partendo dal sistema della ricollocazione degli stranieri che sbarcano sulle coste del vecchio continente e dal flop dei rimpatri, e tentando di spacciare come un grande successo le politiche in materia portate avanti negli anni in cui è stato alla guida dell’Esecutivo dell’Ue. Ammette infine che c’è ancora tanto lavoro da fare, che la situazione può precipitare da un momento all’altro, ma sugli impegni che tutti gli Stati membri dovrebbero prendere per gestire in maniera equa e responsabile il fenomeno glissa. Tutto in un articolato rapporto relativo allo “stato di attuazione dell’agenda europea sulla migrazione” inviato dalla Commissione al Parlamento e al Consiglio Ue.
LO SPOT. Il presidente Jean-Claude Juncker sostiene che quella affrontata negli ultimi quattro anni è stata una sfida eccezionale, partita con una situazione di grande emergenza, fatta di due milioni di persone approdate in Europa nell’arco di soli due anni. “Si è capito rapidamente che gli Stati membri non potevano far fronte da soli alle sfide della migrazione e che la questione poteva essere affrontata in modo efficace solo attraverso soluzioni comuni a livello europeo”, sostiene il capo dell’Esecutivo di Bruxelles. Una consapevolezza che non sembra essersi tradotta però in una rivisitazione del Trattato di Dublino e in un alleggerimento della pressione migratoria sugli Stati dove è avvenuto il maggior numero di sbarchi, anche se i governi di quest’ultimi non sono comunque esenti da colpe, essendo stati pronti a fare cassa con i fondi comunitari per l’immigrazione e poi non gestendo il fenomeno e facendo così gonfiare le vele del sovranismo.
Juncker indica come successi dell’Ue l’accordo con la Turchia, che ha portato nel 2018 a 150mila gli attraversamenti irregolari delle frontiere, il minimo registrato nell’arco di 5 anni, i quasi 760mila salvataggi in mare, quelli di 23mila migranti soccorsi nel deserto del Niger, il sostegno economico agli Stati membri “sottoposti a maggiore pressione”, con un investimento di oltre 10 miliardi di euro, ma con appena 34.700 persone arrivate in Italia e Grecia ricollocate in altri Paesi, l’assistenza fornita dall’Agenzia delle guardie di frontiera, che ora si doterà di un corpo permanente di 10mila agenti, i 90 progetti avviati in Turchia e i 75 in Siria, senza però considerare che il conflitto esploso ora tra i due Paesi può far saltare tutto. Juncker si limita a evidenziare che ora occorre istituire un “quadro adeguato per un sistema comune di asilo, che sia gestito in modo responsabile ed equo”.
Una posizione piuttosto timida considerando l’indifferenza al problema che ancora domina in diversi Stati membri. Quel che conta per il presidente è che nel 2019 gli arrivi sono diminuiti del 90% rispetto al 2015. Ma quest’anno risultano a Bruxelles anche quasi 1.100 morti nel Mediterraneo. Tristemente tanti. Troppi. Per quanto riguarda invece le rotte migratorie, in aumento attualmente gli attraversamenti irregolari nei Balcani occidentali, bassi quelli nel Mediterraneo centrale e ridotti tra il Mediterraneo occidentale e l’Atlantico. Per quanto rifuarda infine le domande di asilo, nel 2019 sono state oltre 500mila, il 72% delle quali in Germania, Francia, Spagna, Grecia e Regno Unito.