Lo scontro da politico diventa anche giudiziario. Il governo tira dritto sul caso dei migranti tornati dall’Albania dopo che i giudici del tribunale di Roma hanno deciso di non convalidare il trattenimento nei nuovi centri fatti costruire dal governo italiano. E così il Viminale ha dato mandato all’avvocatura dello Stato per preparare i ricorsi contro la sentenza che ha poi portato al rimpatrio dei 12 migranti, trasferiti nuovamente in Italia.
Il ministero dell’Interno, guidato da Matteo Piantedosi, ritiene che l’ordinanza non applichi la norma italiana sui Paesi sicuri e inoltre avrebbe interpretato nel modo sbagliato la sentenza del 4 ottobre della Corte di giustizia europea. In sostanza la linea del Viminale è che Egitto e Bangladesh – ovvero i Paesi da cui provenivano i 12 migranti – sono ritenuti dall’Italia Paesi totalmente sicuri, senza eccezioni, al di là di singoli gruppi sociali che, secondo l’interpretazione del governo, non possono compromettere il riconoscimento della sicurezza dello Stato. Proprio per questa ragione il Consiglio dei ministri ha approvato lunedì un decreto sui Paesi sicuri con l’obiettivo di trasferire in una norma primaria l’elenco di queste nazioni. Ora sono 19, tra cui anche Egitto, Bangladesh e Tunisia, ovvero quelli da cui arrivano più migranti.
Il Viminale ricorre in Cassazione sui centri migranti in Albania, ma intanto il decreto sui Paesi sicuri non cambia nulla
Proprio sul decreto emanato dal Consiglio dei ministri si discute in queste ore, nel tentativo di capire se possa realmente vincolare i giudici a prendere decisioni diverse sui futuri casi di convalida del trattenimento dei migranti in Albania. Penalisti e costituzionalisti, in realtà, sembrano dell’idea che non cambierà nulla, perché di base il principio è che un decreto non possa opporsi all’ordinamento europeo, come spiega Michele Ainis.
Il fatto che la norma sia primaria, invece che un decreto interministeriale, non cambia nulla perché è sempre in contraddizione con la sentenza della Corte Ue. Per Francesco Petrelli, presidente dell’Unione camere penali, la direttiva europea e la decisione della Corte sono una “fonte sovraordinata anche alla norma primaria” come il decreto governativo. In questi casi valutare la sicurezza del Paese da cui proviene il migrante spetta probabilmente al giudice, anche pensando a cosa succede caso per caso, secondo quanto suggerito dalla Corte Ue.
Si esprime la Cassazione
Qualche indicazione in più potrebbe arrivare il 4 dicembre, quando la Cassazione si dovrebbe esprimere sul quesito pregiudiziale presentato a luglio proprio dallo stesso tribunale di Roma. Prima, quindi, della sentenza europea di ottobre. I giudici competenti delle procedure del protocollo tra Italia e Albania avevano inviato alla Cassazione un quesito proprio per capire se i magistrati abbiano o meno discrezionalità sulla definizione di Paese sicuro o se debbano attenersi alla lista stilata dal governo. Nel quesito non rientrava quanto previsto dalla sentenza della Corte Ue, arrivata successivamente.
Le opposizioni, intanto, tornano unite per chiedere al governo di riferire in Aula sul caso del decreto sull’Albania e i Paesi sicuri. La capogruppo del Pd alla Camera, Chiara Braga, ha chiesto “un’informativa urgente” della presidente del Consiglio, Giorgia Meloni, sul “decreto fantasma licenziato dal Cdm”. Alla richiesta di chiarimenti si è unito anche il Movimento 5 Stelle con Alfonso Colucci, mentre Alleanza Verdi-Sinistra ha chiesto, con Francesca Ghirra, un’informativa urgente sull’applicazione del protocollo con Tirana. Il deputato di Avs, Nicola Fratoianni, ha annunciato che chiederà chiarimenti oggi al governo, nel corso del question time. Il caso approda in Aula, dunque.