Chi legge questo giornale sa che consideriamo destra e sinistra categorie ottocentesche, e pertanto non abbiamo mai tirato la volata a nessuno ad eccezione di un iniziale “innamoramento” per il Matteo Renzi del 2013, quando portava due milioni di italiani ai banchetti del Pd sventolando parole d’ordine come “rottamazione”, “cambiamento”, “meritocrazia”. Erano i tempi in cui prometteva che non sarebbe mai andato a Palazzo Chigi senza passare prima dalle urne. Abbiamo visto come è andata a finire. Da lì in poi non abbiamo più guardato in faccia nessuno (e per questo ci siamo fatti qualche nemico) preferendo restare fedeli solo all’idea – o se preferite al sogno – di far diventare il nostro Stato un po’ più liberale. Presi dai fatti di cronaca e dalle mode del momento – adesso il top è dare addosso agli immigrati – sui giornali e nel dibattito generale è sempre più difficile trovare tracce delle vere catene che immobilizzano il Paese. Il dirigismo pubblico che determina chi entra e chi esce dal mercato, come stiamo vedendo nel caso delle grandi infrastrutture telefoniche, in una nazione dallo spirito persino vagamente liberale sarebbe impensabile.
Qui invece quasi nessuno dice niente e appare la cosa più naturale del mondo che l’Enel “renzizzata” oltre a occuparsi male di energia vada a fare un mestiere che non le appartiene nella telefonia, mentre Telecom con il suo azionista di riferimento francese paga per aver disturbato gli interessi di Berlusconi. A decidere tutto, insomma, non è mai il mercato, la specializzazione e l’interesse dei cittadini bensì la bussola del potere. Così, con gli italiani troppo affaccendati a fare i salti mortali per arrivare a fine mese, sempre i soliti noti si spartiscono quel po’ di ciccia che è rimasta attorno all’osso. E a controllare il traffico non cedono di un passo personaggi come Franco Bassanini, più di mezzo secolo in mezzo a politica, fondazioni bancarie e grande finanza. È proprio questo signore che con i manager nominati dalla politica in una Cassa Depositi e Prestiti trasformata in una sorta di bancomat pubblico, stanno decidendo – senza consultare neppure quell’orpello del Parlamento – chi diventerà e a che prezzo il padrone della rete senza la quale non potremmo parlare al telefono e navigare su internet. In questo Paese, dove lo Stato sembra lasciarci liberi di intraprendere, ma poi ci tarpa le ali con tasse spaventose e burocrazia; dove i lavoratori credono di poter disporre dei loro guadagni e invece c’è a turno chi ci dice come disporre del Tfr o delle condizioni per andare in pensione, dove possiamo dare disposizioni su tante cose secondarie della nostra vita ma non sul passaggio più importante, quella morte che per tanti malati irreversibili è negata in modo assistito e dignitoso.
Diritti violati – In questo Stato padrone delle nostre esistenze non poteva mancare la negazione del diritto a decidere come curarsi. C’è da difendere l’interesse primario della tutela della salute per chi è più debole o non è vaccinato, è la motivazione con la quale il nostro Governo ha imposto i vaccini per legge. Un obbligo che si sarebbe potuto evitare spiegando meglio in cosa consiste questa profilassi, spingendo i genitori preoccupati di creare involontariamente un danno ai loro figli che le cose non stanno in questo modo. Una via più difficile, è chiaro, rispetto alla mannaia calata sulle famiglie che se non si adeguano all’obbligo non potranno mandare i figli a scuola. Ma è qui che la politica dimostra la sua vera natura. Una famiglia consapevole e che vuole liberamente far vaccinare i propri figli è la fotografia di un Paese che dialoga con il Palazzo e dove la libertà e il rispetto dei cittadini sono valori inalienabili. Non esattamente quello che è accaduto con una legge con buone intenzioni ma pessimi strumenti per realizzarle, considerando ogni forma di coercizione al libero arbitrio una violazione della stessa natura umana. Di qui la battaglia che alcune parti politiche e più efficacemente di tutti la Regione Veneto stanno combattendo contro un’imposizione più sofferta perché calata dall’alto che osteggiata per diffidenza verso i vaccini. Una battaglia che ha generato mostri, con il dilagare delle più incredibili fake news sulle controindicazioni delle vaccinazioni. Così la battaglia è diventata ideologica, mettendo di mezzo diritti non negoziabili, come quello a decidere di noi stessi, per non parlare del diritto allo studio di fatto impedito a chi non volesse sottostare all’obbligo di vaccinarsi. Un caos in cui il ministro Lorenzin ha potuto giovarsi della condizione di un Paese dove il popolo è considerato bue e come tale trattato. L’imposizione come metodo, di fronte alla resa della spiegazione e della persuasione, sono infatti un virus che abbiamo in corpo e per il quale non c’è cura se non rendendo i cittadini consapevoli che la politica risponde a loro e non autoreferenzialemnete solo a se stessa.