È difficile giustificare Putin: adesso ha ordito un colpo di Stato in Sudan tramite l’esercito privato della Wagner.
Armando Dossi
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Gentile lettore, mi duole dirle che lei è fuori strada sul golpe in corso in Sudan. Naturalmente non gliene faccio una colpa, perché immagino che le sue fonti di informazione siano i giornali italiani e i tg a reti unificate. “Sudan, il golpe del generale sostenuto dalla Wagner” titolava l’altro giorno Repubblica e concetti identici erano espressi da tutti i giornaloni. Invece il golpe è di matrice Usa. Era facilmente intuibile: a metà febbraio Khartoum aveva firmato un accordo che concedeva a Mosca la costruzione di una base navale in Sudan. Due mesi dopo, voilà, il golpe. Ora la prova provata arriva da Washington. Il Segretario di Stato Blinken ieri ha pubblicato un tweet di appoggio al capo dei golpisti: “Ho parlato con il generale Afta Buran per sottolineare il sostegno degli Usa alle democratiche aspirazioni del Sudan e per sollecitare la rapida formazione di un governo di transizione”. In linguaggio giudiziario si direbbe che l’indagato “ha reso piena confessione”. In linguaggio diplomatico, pure. Washington che, invece di rapportarsi col legittimo governo sudanese riconosciuto dall’Onu, telefona al capo dei golpisti, è un inedito in Africa. Una volta gli Usa lo facevano solo in America latina, ma ormai hanno perso ogni remora e inoltre vogliono stringere i ceppi sull’Africa, dove è in atto ovunque una vera rivolta antiamericana: la guerra in Ucraina è considerata il frutto di una provocazione Usa e anche per questo dilagano le simpatie per Russia e Cina.
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