Francesco Vignarca è coordinatore della campagne di Rete Italiana Pace e Disarmo, che di guerre (e soprattutto) di pace si occupa da sempre. Per il 21, 22 e 23 ottobre la Rete ha lanciato una mobilitazione (l’ennesima nelle piazze italiane).
Vignarca, ora è un proliferare – finalmente – di marce della pace. Che ne pensa?
“Se ne parla. Noi ne abbiamo sempre fatte, da sempre. Ora vedo che c’è molta fibrillazione per una manifestazione nazionale ma qualora venga fatta sarà per noi una tappa di un cammino, che per noi sull’Ucraina è iniziato il 26 febbraio a Roma. Anzi, direi anche prima, visto che dal 2014 sottolineavamo la situazione in quei territori mentre molti politici che ora pontificano facevano accordi politici e economici con la Russia Putin. Abbiamo dal 21 al 23 ottobre manifestazioni diffuse in tutto il territorio nazionale. Oltre a questo abbiamo organizzato già 4 carovane di pace in Ucraina portando tonnellate di aiuti, organizzando il viaggio di quasi 1000 profughi, occupandoci di 3 dissalatori a Mikolaiv, una città quasi sul fronte, ancora più a est Odessa, con presenza continuativa. Le manifestazioni si fanno perché sono importanti, perché esercitano pressione sulla politica ma devono essere parte di un percorso completo sennò sono solo una scampagnata”.
Ci sono però molti distinguo: qualcuno dice “ci sono solo davanti all’ambasciata russa”, altri dicono “se c’è quello non vengo io”…
“È una continua strumentalizzazione politica e culturale. Noi ne abbiamo subite di tutte, siamo stati oggetto di attacchi insensati. Noi che ci siamo sempre occupati di protezione umanitaria siamo stati accusati di non occuparci degli ucraini. C’è gente che si è inventata difensore di diritti e di crimini di guerra che prima ci trattava da anime belle quando sottolineavano i crimini con le nostre armi come accade in Yemen: “Conta l’economia!” Ci dicevano in quel caso. Di colpo adesso sono diventati idealisti. La guerra è complessa e drammatica, i percorsi di pace sono duri, lunghi ed è difficile. Sono anche laceranti, noi stessi siamo lacerati quando andiamo n Ucraina, non dormiamo tranquilli. Poi ci sono quelli che invece trasportano tutto in polemica banale sul luogo di una marcia o su chi c’è e non c’è. si riduce tutto al tifo, al bianco e nero. Una situazione di pace è una condizione complicata. Molti dicono la pace deve essere giusta, certo. Va fatta in decenni. Tutti i torti devono essere ripagati? No, non accade in generale, non è accaduto nemmeno con la commissione per la riconciliazione in Sudafrica sull’apartheid. Deve essere un percorso doloroso che non è la legge del taglione. Pace non è solo tregua ma è molto di più. Poi finisce come in Afghanistan: con un clic si è girata pagina, nessuno si è chiesto perché, cosa abbiamo fatto. E nessuno si straccia le vesti”.
Lo slogan che va per la maggiore è “se la Russia si ferma non ci sarà più la guerra, se l’Ucraina si ferma non ci sarà più l’Ucraina”. Che ne pensa?
“Non basterebbe uno stop della Russia, come ho già detto. Quello fermerebbe la guerra, sarebbe una condizione importante ma non porterebbe la pace. È banalizzante credere che è pace quando non si spara. Noi non pensiamo alla resa dell’ucraina ma pensiamo che quando uno vuole arrivare alla pace deve valutare la strada. Siamo tutti contenti che dopo la seconda guerra mondiale si sia costruito in Europa un sistema di pace ma provocare 80 milioni di morti non è stato il modo giusto. Guardando gli altri conflitti abbiamo visto che il flusso di armi comporta inasprimento e allargamento. Per esempio c’è una ricerca di Harvard che dimostra come tutte le rivoluzioni non violente siano state più efficaci. Penso ai danesi sotto i nazisti. Se prepari la guerra alla fine avrai un confronto muscolare. Questo, attenzione, non elimina la responsabilità di Putin, ma è l’unica strada”.
Così non si rischia di sembrare “amici di Putin”?
“Anche questa è una banalizzazione da bar già vista nella storia. Bisogna ragionare, accettare posizioni diverse capire le differenza: quella è pace positiva, non solo negativa nel senso di negazione di guerra. La pace accade solo di fronte a un confronto aperto e serio sui contenuti. Molti che oggi accusano i pacifisti hanno fatto accordi con Putin, l’hanno visto come punto di riferimento politico mentre noi già lamentavano la mancanza di diritti in Russia, noi abbiamo criticato programma di riarmo russo nel 2011. Quando dicevamo questa cose noi siamo stati inascoltati. Di colpo, solo perché siamo coerenti, diveniamo putinisti. Ma se siamo così pochi, sbagliati, inutili, perché siamo un problema?”.
Carlo Calenda, intanto, fa riferimento a pacifisti che “vogliono la resa ucraina”. Chi sono?
“Mi sono stufato di questo personaggio, Calenda ha anche parlato di pacifismo immorale. Io non la accetto. Sulla non violenza e sulla moralità e sulla protezione della vita è il fulcro della nostra azione: mentre noi dicevamo le nostre cose Calenda almeno in due occasioni se ne andava al forum di Pietroburgo a sottoscrivere contratti mentre era in vigore un embargo contro Putin. E Putin aveva già occupato la Crimea”.
Cosa potrebbe risolvere i conflitto?
“Il cessate il fuoco è la prima cosa. Finché ci sono attacchi da parte russa sarà impossibile ragionare. Qualcuno deve imporlo alla Russia e dovrebbe essere fatto da chi è protagonista. Poi un tavolo con tutti, Cina, Biden, Papa Francesco, l’Ue oltre a Putin e Zelensky. Un luogo dove le rivendicazioni vengono fatte da terzi come si è sempre fatto, dove tutti un po’ salvano la faccia”.
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