Giornata nera, anzi nerissima, ieri, nelle redazioni dei giornaloni. Dopo aver tifato per intere settimane per l’apertura della procedura d’infrazione contro l’Italia per punire i barbari del Governo Conte, a rendere ancora più pesante la débâcle a tirature unificate ci si sono messi pure i famigerati mercati. Il dio vendicatore ripetutamente invocato dalla narrazione mainstream che – sarebbe stata solo questione di giorni – prima o poi ce l’avrebbe fatta pagare. Eppure, non è bastato nemmeno il balzo della Borsa (+1,6%) né il crollo dello spread sotto quota 200 punti, tornato ai minimi dal 2017, a scoraggiare i profeti dell’apocalisse. Perennemente annunciata e puntalmente smentita.
Così, masticando amaro, non si sono dati per vinti neppure di fronte all’ormai certificata evidenza dei fatti. Uno in particolare che La Notizia – in quasi totale e beata solitudine – sottolineava da tempo. Perché era chiaro sin dall’inizio, tanto nella forma (i continui ultimatum lanciati da Bruxelles all’Italia, neanche fosse una dichiarazione di guerra, rivelatori di un intento oltremodo punitivo) quanto nella sostanza (la minaccia di sanzioni per un presunto buco di 4,7 miliardi, una cifra ridicola che un Paese con una spesa pubblica di 800 miliardi può riempire in un quarto d’ora), che la procedura d’infrazione proposta da Juncker & C. non stava in piedi. Una farsa, smontata a colpi di numeri (reali) contrapposti dal Governo alle previsioni (surreali) della Commissione Ue.
Sta di fatto che, con ostinata pervicacia, l’armata brancaleone dell’austerity non s’è persa d’animo. E, incassato il durissimo colpo, è tornata alla carica. Conte evita la procedura, ma resta al palo sulla partita nomine”, virava il sito di Repubblica sul nuovo bersaglio. “Europarlamento, Sassoli eletto presidente. Così Merkel ha vinto. E l’Italia deve subire”, sentenziava il Corriere della Sera online. Pazienza che, sebbene del Pd, il neo numero uno del Parlamento Ue abbia incentrato il suo discorso di insediamento sulla necessità di modificare il Trattato di Dublino, più o meno le stessa cosa che il Governo Conte va ripetendo da un anno. Ma davvero l’Italia è uscita sconfitta dalla partita delle nomine Ue? Venivamo da una legislatura in cui esprimevamo il presidente dell’Europarlamento (Tajani di Forza Italia), il presidente della Bce (Draghi) e il commissario alla Politica estera (Mogherini, a proposito, chi l’ha vista?).
Con machiavellico cinismo, il premier ha sfruttato la trattativa con l’Ue, per ottenere Non il migliore dei risultati, ma il miglior risultato possibile. Archiviare la procedura d’infrazione, confermare la presidenza dell’Europarlamento e assicurarsi un commissario economico di peso (la Concorrenza?). Inutile dire che non potremmo aspettarci sconti nemmeno dalle prossime istituzioni Ue. Ma se questa è una sconfitta, cos’erano quello dei Governi di Centrosinistra che si piegavano senza fiatare ai diktat di Bruxelles?