Elly Schlein o Stefano Bonaccini? Questo è il dilemma che al momento si pongono i parlamentari del Movimento cinque stelle quando pensano al Pd. Una domanda che equivale, per molti, a chiedersi se ci sarà spazio per un’alleanza o no. Sempre in attesa (eventuale) che si presenti qualche altro potenziale candidato alla segreteria del Partito democratico.
Il candidato alla segreteria del Pd Bonaccini non chiude a Calenda & C. Mentre Conte vuole il modello Majorino
Per il momento sono pochi i dubbi che circolano: “Se dovessero restare solo questi due candidati, ma non credo – spiega un senatore pentastellato – credo che più o meno tutti sperano vinca la Schlein. Con lei si potrebbe recuperare un dialogo e costruire un’alternativa progressista basata su temi e programmi”. Un pensiero, dicono i ben informati, condiviso anche da Giuseppe Conte.
Per il momento, tuttavia, bocche cucite nel rispetto del sacrosanto impegno a non influire su votazioni interne a un partito. C’è però un dato, al di là delle canoniche voci off-record, che pare evidente: al momento Bonaccini non si è esposto su potenziali alleanze. Cosa che fa pensare a un ipotetico “secondo Letta”. “Ci confronteremo con Terzo Polo e 5S, ma certo non lasceremo loro la rappresentanza esclusiva di moderati e sinistra”, ha detto qualche giorno fa il governatore emiliano, aggiungendo che “la vocazione maggioritaria non è autosufficienza ma apertura, indispensabile per costruire una grande forza progressista e riformista”.
Il dialogo con il M5s, in questo contesto, non rientra nei suoi obiettivi prioritari. “Il mio primo obiettivo è che il Pd torni a essere e a fare il Pd”. Il primo banco di prova per questo ambizioso obiettivo saranno “le europee e le amministrative del 2024: dobbiamo tornare ad essere il primo partito. Io – dice ancora – temo che con questa destra l’Italia torni indietro, che ci isoliamo in Europa, che la società, l’economia e i diritti si fermino”.
Tutto giusto, per carità. Ma negli ambienti pentastellati queste dichiarazioni sono state lette come il classico tentativo di dir tutto senza dire nulla. “Ci siamo già passati con Letta: prima grandi accordi in vista di un’alleanza e poi tutto crollato perché bisognava inseguire Calenda e Renzi. E sappiamo bene quella scelta a cosa ha portato”, spiega ancora il senatore.
Quello che chiede il movimento, detto altrimenti, è una presa di posizione chiara sapendo che possibilità di dialogo, sia a livello nazionale che locale, non è possibile tra Terzo Polo e Movimento cinque stelle. L’ha dimostrato, al di là di ogni congettura, quanto sta accadendo sia nel Lazio che in Lombardia.
Se nella prima regione il Pd ha deciso di voltare le spalle al Movimento cinque stelle inseguendo con Alessio D’Amato chissà quale alleanza centrista, in Lombardia se il Terzo Polo corre con Letizia Moratti, il candidato dem Pierfrancesco Majorino potrebbe essere la chiave per la nascita di una coalizione giallorossa in regione. L’ha detto chiaramente d’altronde anche lo stesso Conte: “Mi sono state date delle referenze di una persona in condizione di poter condividere buona parte dei nostri principi e valori“.
E poi ha concluso: sottolineando che se il Pd “vuole dimostrare di aver fatto tesoro di errori compiuti in passato” e “vuole dimostrarlo concretamente” noi “ci siamo”. Un’evidente apertura rispetto a quanto capitato nei mesi scorsi e gli attriti tra la dirigenza Pd e quella del Movimento. Come a dire: parliamo dei temi e se su questi c’è convergenza ben venga anche il nome di Majorino. Che ha decisamente altra storia rispetto alla Moratti.