Dopo cinque anni di reclusione nel penitenziario di massima sicurezza di Belmarsh del Regno Unito e oltre un decennio di persecuzione politica da parte del governo degli Stati Uniti, Julian Assange, il simbolo del giornalismo libero e indipendente, è finalmente tornato in libertà.
Stefania Ascari, deputata del Movimento 5 Stelle e da sempre attenta alle vicende giudiziarie del fondatore di Wikileaks, ci può spiegare perché questo risultato è tanto importante?
“È un risultato importante per Assange che finalmente è tornato a essere uomo libero, ma anche per noi, per la libertà di stampa e per la democrazia. Nessuna democrazia può dirsi tale finché ci sarà anche solo un giornalista in carcere per il suo lavoro”.
Per uscire dall’incubo, Assange si è dovuto dichiarare colpevole di un capo d’accusa. Ma esattamente quale sarebbe stato il suo errore?
“Assange era accusato di aver violato l’Espionage Act, una legge contro lo spionaggio che risale al 1917 e che contrasta con il primo emendamento sulla libertà di espressione e di stampa. DI fatto Assange ha fatto quello che ogni giornalista dovrebbe fare : indagare anche i più alti livelli del potere, raccogliere fonti e informare i cittadini e le cittadine. In una democrazia matura Assange sarebbe stato esaltato come un eroe, invece è stato accusato di essere una spia ed è diventato vittima di una persecuzione giudiziaria che ha avuto lo scopo di colpirne uno per educarne cento”.
Con questa conclusione, gli Stati Uniti salvano la faccia perché potranno usare la colpevolezza del fondatore di Wikileaks per scoraggiare altri a seguire il suo esempio. Secondo lei questa non è una sconfitta per la libertà di stampa?
“Assange ha trascorso 5 anni nel carcere più duro del Regno Unito, in una cella di tre metri, isolato dai suoi affetti e dal resto del mondo. Le sue condizioni di salute sono state pesantemente compromesse. Assange non poteva più sopportare il peso di una persecuzione giudiziaria e una prospettiva di decenni di carcere. Patteggiare è stato il modo per salvarsi la vita, ma non è una sconfitta. La mobilitazione civile globale che in questi anni ha mantenuto accesa la luce su Assange è la prova che la gente ha compreso bene che rivelare crimini non è mai un crimine”.
Malgrado i media italiani, come quelli di tutto l’Occidente, abbiano ampiamente usato le rivelazioni di Wikileaks per vendere copie, durante la detenzione di Assange hanno dato ben poco spazio all’argomento, spesso rilegandolo a trafiletti di poche righe. Lei come si spiega questo atteggiamento da parte del giornalismo?
“Assange ha sacrificato la sua vita per la verità e le sue rivelazioni sono state riprese dalle testate di tutto il mondo, poi quando si è trovato schiacciato da poteri molto più forti di lui è stato abbandonato. Non tutti possono vantare il suo coraggio e la sua determinazione, questa è la ragione”.
Intanto permane lo stallo per il nuovo Consiglio di amministrazione della Rai, dove, a dispetto di tante richieste di riforma sul modello della BBC, si continua con il sistema delle nomine parlamentari. Possibile che non si riesca a liberare il servizio pubblico radiotelevisivo dalle ingerenze della politica?
“Non si riesce perché è necessario che tutte le forze politiche convergano per svincolare la Rai dalla politica, ma ben poche sono interessate a farlo. Una riforma che, però, è più che mai urgente”.