Sono ore di attesa nella Striscia di Gaza dove domani si terrà il quinto scambio di ostaggi e prigionieri tra Hamas e Israele, nell’ambito dell’accordo di cessate il fuoco. La lista dei prigionieri israeliani ancora in mano al gruppo terroristico è stata consegnata ieri, dopo ore di lunga attesa che hanno fatto preoccupare tanti esperti, dal premier del Qatar Mohammed Al Thani al direttore del Mossad, David Barnea.
Malgrado la tregua stia reggendo, seppur con grande fatica, il clima attorno ai negoziati che avrebbero dovuto riprendere il 3 febbraio ma che ancora non sono iniziati, si fa sempre più incerto. La seconda fase dell’accordo per la tregua appare in pericoloso stallo: mentre Netanyahu spinge per estendere la prima fase e prolungare gli scambi, la prospettiva di un ritiro israeliano dal corridoio di Philadelphi, previsto al giorno 50 dell’intesa, incontra forti resistenze.
Il rischio di una ripresa delle ostilità cresce, anche perché la destra ultranazionalista israeliana, rappresentata dal ministro Bezalel Smotrich e dall’ex ministro Itamar Ben-Gvir, preme per un ritorno al conflitto totale, mentre il presidente USA Donald Trump ha avvertito che senza il rilascio degli ostaggi rimasti (79, secondo l’ultimo aggiornamento), ci sarà “più violenza”.
Le tensioni con Riad
A complicare ulteriormente il quadro c’è il nuovo fronte di scontro tra Israele e Arabia Saudita. Riyadh ha respinto con fermezza l’ipotesi, sostenuta da Donald Trump, di un trasferimento forzato dei palestinesi fuori dalla Striscia di Gaza, definendola una violazione del diritto internazionale e una minaccia alla stabilità della regione. Netanyahu, intervistato da Channel 14, ha risposto senza mezzi termini: “I sauditi hanno abbastanza terra per creare uno Stato palestinese in Arabia Saudita”.
Un’affermazione che lascia intendere come il premier israeliano non sia disposto a concedere nulla sul riconoscimento di uno Stato palestinese nei territori occupati, soprattutto dopo gli attacchi del 7 ottobre. Il botta e risposta tra Israele e Arabia Saudita potrebbe complicare i già delicati equilibri in Medio Oriente, influenzando anche le trattative per la normalizzazione delle relazioni tra i due Paesi.
Gallant scarica Netanyahu
Le tensioni non sono solo diplomatiche, ma si fanno sempre più evidenti anche all’interno del governo israeliano. L’ex ministro della Difesa Yoav Gallant ha lanciato un duro attacco a Netanyahu, accusandolo di aver bloccato nel 2023 un’operazione cruciale contro Hezbollah, causando un’escalation evitabile nel settembre 2024.
In un post su X, Gallant ha ribadito che l’attacco avrebbe dovuto essere lanciato nell’ottobre 2023, quando i terroristi avevano già migliaia di cercapersone pronti all’uso. Netanyahu ha liquidato le accuse definendo l’attacco un “orribile errore”, ma lo scontro tra i due rischia di destabilizzare ulteriormente un governo già sotto pressione.
Israele torna a bombardare la Striscia di Gaza
Malgrado il cessate il fuoco, l’esercito israeliano ha intensificato le operazioni militari in Cisgiordania, Gaza e Libano. A Tulkarem, in Cisgiordania, i raid israeliani sono al dodicesimo giorno consecutivo, con l’occupazione di edifici residenziali trasformati in avamposti militari. Nel frattempo, l’IDF ha colpito obiettivi di Hezbollah in Libano, lanciando attacchi aerei nella valle della Beqaa e a Nabatieh. Azioni che rischiano di far saltare definitivamente la tregua e riaccendere il conflitto su più fronti.