Se l’obiettivo della guerra lanciata da Benjamin Netanyahu nella Striscia di Gaza è eliminare definitivamente Hamas e le sue strutture, allora si può parlare di un clamoroso flop. A decretarlo sono alti funzionari delle Forze di difesa israeliane (IDF) che, dietro richiesta di anonimato, hanno raccontato all’emittente Channel 12 dello Stato ebraico che “sono stati distrutti soltanto il 25 per cento dei tunnel” utilizzati dai terroristi palestinesi dall’inizio della guerra, ossia dal 7 ottobre 2023.
Le stesse fonti riferiscono che, secondo informazioni di intelligence, la sicurezza israeliana stima che vi siano tuttora numerosi tunnel per il contrabbando di armi che collegano l’Egitto alla Striscia di Gaza.
“Nella Striscia di Gaza l’operazione militare è stata un fallimento”. L’Idf sbugiarda Netanyahu ammettendo di aver distrutto solo il 25% delle strutture di Hamas
Nonostante si possa parlare di fallimento, le trattative di pace restano in stallo e l’operazione militare di Netanyahu non accenna a fermarsi. Anzi, con cadenza quotidiana, i raid e i blitz dell’IDF aumentano per portata e intensità. Nelle ultime 24 ore, l’aviazione israeliana ha dichiarato di aver lanciato una poderosa offensiva, colpendo oltre 45 obiettivi terroristici in tutta la Striscia. Particolarmente critica la situazione a Gaza City dove, secondo quanto riferito dal portavoce della protezione civile palestinese Mahmud Bassal, un edificio residenziale è stato colpito e distrutto nei bombardamenti, causando la morte di 29 persone — tra cui numerosi bambini — e il ferimento di altri 40 civili.
Gli attacchi non hanno risparmiato neanche Rafah, il campo profughi di Khan Younis, la tendopoli di Nuseirat, l’area di Tel Sultan e quella di Morag, causando un numero imprecisato di vittime. Blitz che, secondo l’IDF, avrebbero consentito di neutralizzare “numerosi terroristi di Hamas”, oltre a distruggere un deposito di armi e un sito per la produzione di missili con annessa base di lancio.
La pace impossibile
Di fronte a questo martellamento continuo, proseguono gli sforzi — finora sfortunatamente vani — della diplomazia egiziana. Secondo fonti del Cairo, il ministro degli Esteri egiziano Badr Abdelatty ha parlato telefonicamente con l’inviato statunitense Steve Witkoff per chiedere agli Stati Uniti di fare pressioni su Netanyahu affinché accetti la proposta di accordo annunciata dal presidente egiziano Abdel Fattah al-Sisi. L’iniziativa prevederebbe “generose concessioni a Israele”, tra cui il rilascio “della metà degli ostaggi ancora in mano a Hamas” in cambio di un cessate il fuoco di almeno 40 giorni e della promessa di stabilizzare la pace.
Una proposta sulla quale, però, è calato il gelo da parte di Tel Aviv che, almeno per il momento, non ha nemmeno voluto commentarla. Ben diversa, invece, la posizione di Hamas, che ha ringraziato l’Egitto per una proposta che, a loro dire, “mette fine al piano di deportazione dei palestinesi proposto da Trump”. Peccato che il progetto per il futuro di Gaza del tycoon non sia stato affatto accantonato e, anzi, in queste ore abbia ricevuto nuovo impulso dal presidente indonesiano Prabowo Subianto, secondo cui il Paese asiatico “è pronto a dare rifugio temporaneo ai palestinesi colpiti dalla guerra nella Striscia di Gaza”. Il presidente ha inoltre dichiarato di aver dato istruzioni al proprio ministro degli Esteri affinché discuta rapidamente con la parte palestinese e le altre parti interessate le modalità di evacuazione dei civili.
I fronti caldi del Medio Oriente
In attesa di capire se la diplomazia riuscirà a risolvere la questione, la guerra sembra vicina a una nuova escalation in Medio Oriente. L’IDF, oltre ad ampliare le operazioni nella Striscia, ha bombardato anche la città di Baalbek, nel Libano orientale, colpendo un edificio che ospitava rifugiati siriani. Un raid che ha scatenato l’ira di Hezbollah, che denuncia l’ennesima violazione del cessate il fuoco e minaccia una ripresa delle ostilità.
L’attacco è avvenuto incredibilmente poco dopo l’apertura del gruppo sciita libanese al disarmo dei propri miliziani in cambio del ritiro completo dell’IDF dal Libano. Ma non è tutto. In queste ore torna a infiammarsi anche il fronte con l’Iran che, dopo le recenti e reiterate minacce di un attacco congiunto da parte di USA e Israele, temendo un’azione imminente avrebbe già consegnato missili a lungo raggio alle milizie sciite in Iraq, per prepararsi a rispondere ad eventuali raid.