di Yulia Shesternikova
Bisognerebbe essere siriani per un giorno per capire il loro dolore, la loro disperazione ma anche la loro voglia di vivere, nonostante la guerra sporca, senza regole e senza pietà, nella quale i più potenti del mondo cercano di raggiungere i loro obiettivi. Un attacco con armi chimiche avvenuto a Ghouta nei sobborghi di Damasco nella notte del 21 agosto. Un razzo che conteneva sostanze chimiche tossiche lanciato dalle zone orientali della capitale siriana dalle aree occupate dai ribelli. Oltre 1.400 vittime, tra cui numerosissimi bambini.
Al momento sia il governo che l’opposizione siriana si accusano reciprocamente dell’utilizzo di armi vietate. La comunità internazionale invece non si sbilancia su nessuna posizione, o forse chiude gli occhi sui crimini dei ribelli? Secondo la Sana, l’agenzia stampa siriana, notizie sull’uso delle armi chimiche a Ghouta non contengono neanche una briciola di verità e sarebbe un tentativo di sviare l’attenzione degli esperti internazionali dell’Onu, questi giorni in missione a Damasco per verificare tutti i fatti relativi ai presunti casi di uso delle armi chimiche.
“Tutto ciò è una vasta provocazione. Non si può escludere che gli stessi ribelli abbiano usato le armi chimiche per scaricare poi sul regime tutte le colpe. Questo sarebbe solo un disperato tentativo di coprire la sconfitta militare dei terroristi”, ha commentato Veniamin Popov, docente presso l’Università delle relazioni internazionali di Mosca. La tesi dei sostenitori di Assad è che si stia tentando di creare il pretesto con cui spingere il Consiglio di Sicurezza dell’Onu a prendere le parti degli avversari del regime e allo stesso tempo far saltare ogni possibilità che si organizzi la conferenza di Ginevra con gli esperti russi e americani, già fissata per il 28 agosto.
I ribelli ovviamente negano tutto e accusano apertamente l’esercito di Damasco. Nello scambio di accuse, i supporter di Assad guardano all’Occidente come un “rapinatore a mano armata, un assassino spietato, che paga migliaia di pericolosi criminali (i ribelli) rifornendoli di armi e di supporto logistico di ogni tipo per massacrare un popolo innocente”. Ieri il segretario generale delle Nazioni Unite Ban Ki Moon ha chiesto alla sua vice Angela Kane di recarsi a Damasco e al governo locale di consentire l’accesso degli ispettori Onu nei luoghi della strage.