Ieri mi sono imbattuto in una piccola ma significativa storia riportata dal giornalista Giovanni Rodriquez, che da sempre si occupa di sanità.
Scrive Giovanni che il Nirsevimab-Beyfortus, un anticorpo monoclonale che protegge i neonati dal virus respiratorio sinciziale, sarà fornito gratuitamente solo nelle regioni non in piano di rientro e non utilizzando risorse del Fondo sanitario nazionale. Di contro, nel Lazio, Abruzzo, Molise, Campania, Calabria, Puglia e Sicilia saranno i cittadini a dover acquistare di tasca loro il farmaco classificato in Classe C.
Mentre Spagna e Germania hanno introdotto una prevenzione universale già dal 2023, noi ci culliamo nell’idea che la salute sia un diritto, ma solo se nasci dalla parte giusta dello Stivale. Parliamo di un farmaco che riduce del 77% le ospedalizzazioni e dell’86% i ricoveri in terapia intensiva ed è diventato un lusso che evidentemente non possiamo permetterci per tutti.
Le società di neonatologia gridano al pericolo dal 2023 ma sono rimaste inascoltate. Il Ministero della Salute ha avuto il coraggio di dire che “Aifa ha concordato con la richiesta dell’azienda di classificare il monoclonale in fascia C”. Ora evidentemente seguiamo le indicazioni delle aziende farmaceutiche per decidere chi ha diritto alla salute.
Solo ieri, di fronte alle polemiche, il Ministero si è svegliato e parla di riclassificazione in fascia A. Troppo tardi, troppo poco. Mentre loro “lavoravano”, i bambini rischiavano. Dal 2023 abbiamo risparmiato qualche euro a scapito della salute dei più piccoli.
E questo è tutto quello che c’è da dire sulla chiave di lettura della sanità come merce, come costo, come ingaggio commerciale.