Il Governo Renzi sempre più con le spalle al muro. Perché non bastava il dato imbarazzante secondo cui nel secondo trimestre 2016 la crescita italiana è stata pari a zero, ora di traverso ci si mettono anche i sindacati che, nel giorno post Ferragosto, sono tornati alla carica con il tema del rinnovo dei contratti nella Pubblica amministrazione. Ad alzare il tiro per primo ci ha pensato il segretario generale della Uilpa, Nicola Turco, secondo il quale per il rinnovo triennale dei contratti nel pubblico impiego sono necessarie risorse certe. E non poche: “7 miliardi sono il minimo per restituire dignità e professionalità ai lavoratori”. In una nota del sindacato si spiega che “dopo sette lunghi anni di penalizzazione retributiva, la riapertura della contrattazione nel Pubblico Impiego presuppone la disponibilità di nuove risorse, che siano sufficienti a garantire un recupero adeguato del potere di acquisto da parte dei dipendenti pubblici”. Una cifra certamente non sottovalutabile proprio stando agli ultimi non encomiabili dati Istat. In altre parole, considerata la non-crescita italiana, dove si potranno recuperare 7 miliardi, considerando peraltro che il Governo, nella legge di Stabilità per il 2016, ha stanziato per il rinnovo solo 300 milioni? Ai posteri l’ardua sentenza.
CONTI IN TASCA – La cifra peraltro ha una base più che solida. Una nota sentenza della Corte Costituzionale ha dichiarato illegittimo il blocco della contrattazione da agosto del 2015, escludendone la retroattività per evitare voragini nel bilancio dello Stato. In quell’occasione, l’Avvocatura generale ha quantificato il costo dei mancati rinnovi contrattuali, nel periodo 2010-2015, in 35 miliardi. Ergo: 7 miliardi all’anno, appunto. Ma non basta. Perché a fare i conti in tasca ai dipendenti pubblici che hanno subito il blocco dei rinnovi ci ha pensato invece Michele Gentile, coordinatore del dipartimento del pubblico impiego della Cgil, che all’Agi ha quantificato l’effetto in un mancato incremento in busta paga. Mentre infatti iIl ministro della Funzione Pubblica, Marianna Madia, ha già aperto un tavolo con i sindacati e ha promesso che a settembre si partirà con il confronto, dopo la lunga attesa ora c’è legittima preoccupazione. Secondo il dirigente della Cgil, infatti, i 7 miliardi annui considerati dall’Avvocatura (35 nel quinquennio, ndr) al lordo delle tasse “significherebbero almeno 212 euro persi al mese per ogni anno, destinati a crescere. Questa sarebbe, sulla base di questi numeri, la perdita retributiva dovuta al blocco dei contratti”. Al netto del Fisco la cifra si traduce in 132 euro: dei 7 miliardi, tornano nelle casse dello Stato circa 2,3 miliardi.
IL RICORSO – E intanto, se i sindacati aspettano la ripresa del dialogo con il governo, il Codacons ha deciso invece di presentare il primo ricorso collettivo al Tar del Lazio contro il blocco degli stipendi nel pubblico impiego: l’associazione dei consumatori ha segnalato di aver richiesto un totale di 10.400 euro per ciascun lavoratore “a compensazione del sacrificio imposto ai ricorrenti per effetto del mancato adeguamento del trattamento economico-stipendiale”.