Stipendi, Italia maglia nera: crollano i salari reali dal pre-Covid, quasi nessuno peggio di noi nell’Ocse

L'Ocse certifica che l'Italia è maglia nera per gli stipendi, con salari reali più bassi del 6,9% rispetto al pre-Covid.

Stipendi, Italia maglia nera: crollano i salari reali dal pre-Covid, quasi nessuno peggio di noi nell’Ocse

Nessuno peggio dell’Italia. Mentre il governo continua a combattere la sua battaglia contro il salario minimo, l’Ocse attesta – ancora una volta – che i salari reali italiani sono quelli che crescono meno rispetto al pre-Covid. Così, mentre la ministra del Lavoro, Marina Calderone, festeggia per i dati da record dell’occupazione (comunque ben al di sotto di quelli europei), ci si dimentica di dire che i posti di lavoro continuano a essere pagati poco e male, con stipendi che non crescono.

E pensare che proprio in Italia si registra il più basso tasso d’inflazione nel G7 a maggio: è allo 0,8% contro una media del 5,9%. Forse così bassa anche perché i salari non crescono e i consumi non possono che restare fermi, scatenando così un circolo tutt’altro che virtuoso per l’economia. Sono due i dati principali emersi dall’Oecd Employment Outlook 2024: da una parte l’occupazione ai massimi storici nei Paesi dell’area Ocse, con un buon ritmo anche in Italia nonostante sia sempre al di sotto della media; e dall’altra il nostro Paese che nel primo trimestre del 2024 si conferma maglia nera per i salari reali. 

Il report sugli stipendi: in Italia crollano i salari reali

Va segnalato che la crescita degli occupati inizia a rallentare mentre, spiega ancora l’Ocse, i salari reali hanno recuperato i livelli pre-Covid solo in 19 Paesi su 35. E tra questi non c’è Italia. Addirittura rispetto al quarto trimestre del 2019 il calo è del 6,9%, un dato che piazza l’Italia al terzultimo posto, davanti solamente a Repubblica Ceca e Svezia. In Germania il calo è del 2%, in Francia si registra invece una crescita dello 0,1%. L’Italia è quindi la peggiore tra le grandi economie e anche la ripresa attesa nei prossimi sarà sarà al di sotto della media dei big internazionali.

La situazione dovrebbe migliorare con il rinnovo di importanti contratti collettivi, sottolinea l’organismo nel capitolo sull’Italia, ma ci si attende comunque una crescita contenuta nei prossimi due anni. I salari nominali (quindi la retribuzione per dipendente) potrebbero aumentare del 2,7% nel 2024 e del 2,5% nel 2025. Aumenti “significativamente inferiori” rispetto a quelli attesi nella maggior parte dei Paesi Ocse, ma con l’unico dato positivo di un’inflazione prevista all’1,1% nel 2024 e al 2% nel 2025, quindi consentendo un minimo recupero del potere d’acquisto. In generale i salari sono in crescita su base annua, peraltro in un contesto di inflazione in calo. Inoltre, i profitti iniziano ad assorbire parte dell’aumento del costo del lavoro e per l’Ocse in molti Paesi ci sarebbe “spazio per fare sì che i profitti assorbano ulteriori aumenti salariali, sopratutto perché non ci sono segnali di una spirale prezzi-salari”.

Altro che occupazione da record

Non basta per consolarsi il dato record sull’occupazione in Italia e sui livelli minimi di disoccupazione e inattività. Il nostro Paese, infatti, anche in questa statistica resta al di sotto della media dei Paesi industrializzati. Il tasso di disoccupazione, sceso al 6,8% a maggio, è tre punti percentuali più basso rispetto al pre-Covid ma è molto più alto della media Ocse (4,9%). Stesso discorso per l’occupazione al 62,1% contro una media del 70,2% nel primo trimestre. L’Italia è ancora indietro, soprattutto “in termini di occupazione femminile e giovanile”, si sottolinea nel report.

Altro dato da sottolineare è quello dei Neet, i giovani che non studiano né lavorano: nel 2022 erano il 14% nella fascia 15-19 anni, un triste primato. Non manca un avvertimento sull’abolizione del Reddito di cittadinanza: per l’Ocse bisognerebbe estendere l’accesso all’Assegno di inclusione a tutta la popolazione a rischio povertà per proteggere i più vulnerabili, concentrando invece le risorse per la formazione soltanto alle persone realmente più vicine al mercato del lavoro.