Per il governo la soluzione non è il salario minimo, ma la contrattazione collettiva. Ciò che l’esecutivo guidato da Giorgia Meloni però omette è che proprio la contrattazione collettiva in Italia arranca. E lo dimostra un dato: 6,7 milioni di lavoratori dipendenti sono in attesa del rinnovo del contratto. Così da anni ci sono stipendi fermi a fronte di un’inflazione galoppante.
Alcuni contratti sono bloccati addirittura da quattro anni, come quello di commercio e terziario, tra i più rilevanti per numero di dipendenti. I dati dell’Istat vengono messi insieme da La Stampa che sottolinea come, alla fine del terzo trimestre del 2023 (quindi prima dell’intesa sul contratto dei bancari) i contratti senza rinnovo fossero ben 31.
Questo vuol dire che il 54% del totale dei lavoratori – cioè 6,7 milioni di persone – lavora con un contratto scaduto. Mentre sono in vigore i contratti di 5,7 milioni di dipendenti, pari a circa il 45% del monte retributivo.
Stipendi fermi, quali contratti sono scaduti
Partiamo dai contratti rinnovati: il 97,1% degli accordi dell’industria sono ancora in vigore, così come il 100% dell’agricoltura. Ben diversa la situazione per i servizi privati, dove la percentuale si ferma al 25,7%. E poi ci sono i contratti pubblici: tutti scaduti. Tra l’altro in alcuni casi vanno ancora chiusi gli accordi per il triennio 2019-2021.
Mediamente il tempo di attesa per i lavoratori con contratti scaduti è di 29,1 mesi: quasi due anni e mezzo. Molto peggio va per il terziario, con 5 milioni di addetti tra commercio e turismo: in alcuni casi i contratti sono scaduti dal 2019 e anche per questa ragione i sindacati sciopereranno uniti il 22 dicembre. Proprio a pochi giorni dal Natale, momento fondamentale per il commercio.
Quanto pesano i mancati rinnovi
È sempre l’Istat a fornire dati utili per capire la situazione. Mediamente la crescita su base annua degli stipendi nei primi nove mesi dell’anno è stata pari al 3%, con un aumento del 4,5% per l’industria, del 3,3% del pubblico e dell’1,6% per i serviti privati. Insomma, con questi aumenti siamo cinque punti sotto il livello dell’inflazione. E per chi il rinnovo non l’ha avuto siamo a otto punti persi rispetto al potere d’acquisto. L’emergenza, quindi, è il rinnovo dei contratti, in un Paese in cui gli stipendi sono fermi al palo da ormai 30 anni. Unico caso tra i membri Ocse.