di Stefano Sansonetti
Mauro Moretti si difende. E sull’esplosiva questione del suo stipendio annuale come amministratore delegato delle Ferrovie dello Stato, 873 mila euro, il manager incontra due difensori a dir poco appassionati. Uno di questi è l’economista Innocenzo Cipolletta, già presidente delle Fs (difesa quindi quasi scontata) e oggi numero uno del Fondo italiano d’investimento, controllato tra gli altri dalla Cassa Depositi e Prestiti. L’altro è Riccardo Illy, della famiglia attiva nel settore del caffè ed ex presidente della regione Friuli-Venezia Giulia. Entrambi, nella veste di avvocati difensori, hanno puntato l’indice contro il “populismo” del presidente del consiglio, Matteo Renzi, attaccandolo su InPiù, pubblicazione online animata dallo stesso Cipolletta e da una serie di economisti come Stefano Micossi, Giacomo Vaciago e dal ministro dell’economia Pier Carlo Padoan, che risulta tutt’ora nel comitato scientifico della testata. Al punto che è forte la tentazione di chiedersi cosa ne pensi di tutta la vicenda il titolare del dicastero di via XX Settembre, che delle Fs è azionista di controllo.
La replica
Di sicuro ieri Moretti è tornato a difendersi. “Qui non stiamo a poltrire negli uffici, siamo un gruppo industriale, qui si lavora”, ha detto il manager in occasione della presentazione del piano industriale di Fs che prevede investimenti per 24 miliardi di euro in quattro anni. Solo 8,5 dei quali, però, in autofinanziamento, mentre il resto (pare di capire) sarà a carico dei contribuenti mediante il meccanismo dei trasferimenti dallo stato. Quella del trasporto ferroviario, ha aggiunto il manager, “è una realtà non facile, dove ogni giorni ci si gioca la faccia”. E sulla proposta del governo di abbassare gli stipendi dei manager pubblici del 25%, Moretti ha ironicamente risposto: “Vedrò la proposta, la apprezzerò, la valuterò e Renzi mi saprà convincere”.
Gli “avvocati”
Di sicuro destano sorpresa i toni con i quali il duo Cipolletta-Illy ha provato a difendere lo stipendio di Moretti. Cipolletta, che è stato anche direttore generale di Confindustria, ha scritto un articolo dal titolo “Il limite improprio”. Al suo interno sostiene che “quello che appare improprio è l’idea di un limite assoluto eguale per tutti e comparato a quello di un dirigente pubblico o della più alta carica dello Stato”. Il riferimento è alla proposta di fissazione di un tetto pari all’emolumento del presidente della repubblica, stabilito in circa 240 mila euro. “Se il manager riesce a gestire bene l’azienda”, scrive l’ex presidente di Fs, “allora va premiato e la sua remunerazione può crescere anche per evitare di perderlo”. Invece “con i tetti alle remunerazioni tutti finiscono per guadagnare la stessa cifra e lo Stato finirà per spendere di più e male”.
L’affondo
A rincarare la dose, in modo molto più incisivo, è stato però Illy (di area di centro-sinistra), in un altro articolo intitolato “Lo sbaglio di Renzi”. Qui si accusa il premier di aver portato avanti “una campagna di comunicazione dal sapore populista”. Un’impostazione “sbagliata e foriera di problemi”. Per Illy, innanzitutto, non è paragonabile la posizione del capo dello Stato con quella di un manager pubblico, “il cui mandato viene ridiscusso ogni tre anni e può essere revocato in qualsiasi momento”. Ma soprattutto “le società pubbliche e quelle private operano nel medesimo mercato aperto della concorrenza”. E questa “riguarda anche l’attrazione dei migliori manager”. La conclusione di Illy è che “se le società pubbliche hanno un tetto alle retribuzioni che quelle private non hanno (né dovrebbero mai avere), partono già perdenti in questa competizione”. Ora bisogna vedere sue i due “avvocati” di Moretti saranno in grado di vincere la “causa” contro Renzi. In attesa della “perizia” di Padoan.
Twitter: @SSansonetti