Confindustria non ha dubbi: il Reddito di cittadinanza è troppo alto. Dal momento che il sostegno contro la povertà targato M5S, di cui beneficerà dal prossimo mese di aprile una potenziale platea di circa 5 milioni di italiani, può arrivare (per un single) fino a 780 euro euro al mese, il rischio, secondo Viale dell’Astronomia, è quello di disincentivare la ricerca di un lavoro tra i beneficiari del sussidio. Soprattutto considerato che lo stipendio medio per i giovani ander 30 si attesta, nel nostro Paese, intorno agli 830 euro al mese.
Una differenza minima – è l’allarme – che rende poco conveniente lavorare. Ma non è tutto. Stando ai dati dell’Osservatorio Inps 2017, un lavoratore su quattro guadagna meno di 780 euro al mese. Cioè potenzialmente meno del sostegno contro la povertà varato dal Governo Conte. Una fotografia che rende inevitabile un interrogativo: è troppo alto il Reddito di cittadinanza o, al contrario, sono troppo bassi gli stipendi? Per rispondere alla domanda occorre innanzitutto considerare che, tra i 28 Stati dell’Unione europea, l’Italia è uno dei 6 Stati che non ha ancora adottato un salario minimo orario.
All’appello mancano anche Svezia, Finlandia, Danimarca, Austria e Cipro (l’unico a prevedere livelli minimi retributivi per alcune particolari categorie di lavori). Con il disegno di legge a prima firma della presidente della commissione Lavoro del Senato, Nunzia Catalfo (M5S), l’Italia punta ora a colmare il gap che la separa dalla maggior parte dei Paesi Ue (leggi l’intervista). In particolare introducendo una norma che fissa a 9 euro lordi la soglia minima del salario orario al di sotto della quale non sarà più possibile scendere. L’obiettivo è, in primo luogo, dare applicazione all’articolo 36 della Costituzione, assicurando “una retribuzione proporzionata alla quantità e qualità” del lavoro, “sufficiente” a garantire “un’esistenza libera e dignitosa” al lavoratore e alla sua famiglia.
La norma punta, inoltre, a prevenire l’allerta lanciata dall’Eurostat nell’ultimo rapporto 2018. In base al quale l’11,7% dei lavoratori subordinati italiani (a fronte di una media europea del 9,6%), percepisce uno stipendio inferiore ai minimi fissati dal contratto di lavoro di riferimento. Il risultato, nel medio lungo periodo, è sconfortante: 5,7 milioni di lavoratori percepirà, dal 2050, una pensione da fame, ben al di sotto del livello di povertà. Infine, l’introduzione del salario minimo orario si prefigge di completare, integrandolo, il percorso avviato con il Reddito di cittadinanza, contrastando il cosiddetto dumping salariale. Impedire cioè la corsa al ribasso dei salari, che tra il 1999 e il 2017 hanno fatto registrare la crescita media annua più bassa d’Europa (appena l’1,6%).
E non finisce qui. Per rispondere alla domanda iniziale, è utile un raffronto, in tema di salario minimo, nei 22 Paesi su 28 dell’Unione europea che hanno adottato una normativa ad hoc. In cima alla classifica (vedi tabella a sinistra) svetta il Lussemburgo: il salario minimo mensile non può scendere sotto i 1998,6 euro. Seguono l’Irlanda (1.614) e l’Olanda (1.578) sul secondo e il terzo gradino del podio. Completano il gruppo degli Stati High-range, il Belgio (1.562,6), La Francia (1.498,5), La Germania (1.497,8) e il Regno Unito (1.462,6). Primo tra i Paesi Mid-range, segue la Spagna con 858,6 euro al mese.
In Italia, come detto, un under 30 percepisce mediamente 830 euro al mese. Ma in tutti i Paesi Ue appena elencati, la legge gli garantirebbe un livello di reddito – a parte la Spagna – molto più elevato. E non finisce qui. Secondo i tecnici dell’Ufficio parlamentare di bilancio, sentiti in audizione durante l’esame del decretone su Reddito di cittadinanza e Quota 100, in alcune province italiane il reddito medio mensile di un lavoratore dipendente si attesterebbe, addirittura, intorno ai 520 euro al mese. Insomma, una serie di numeri e dati che, messi insieme, rendono davvero difficile sostenere che i 780 euro del Reddito di cittadinanza siano una cifra troppo alta rispetto a stipendi, in molti casi, da fame.